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Сентябрь
2024

La vita nascosta dei kabu kabu, i tassisti pirata della stazione

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Troviamo I.S., 28 anni di origini nigeriane, fuori da un ristorante chiuso di via Annibale da Bassano. Gli abbiamo chiesto un incontro per raccontare il fenomeno dei taxi abusivi chiamati kabu kabu.

Lui, tra titubanza e scetticismo, ha deciso di accontentarci. Ma il nostro Virgilio ci avvisa: «Non sarà facile trovare degli autisti disposti a parlare, non vanno mica in giro con le insegne al led sul tetto dell’auto».

Sono due recenti operazioni degli agenti della Squadra mobile ad aver attirato l’attenzione sul fenomeno. A metà agosto i poliziotti hanno fermato in stazione un’auto con a bordo una donna che trasportava trenta ovuli di eroina: alla guida è stato trovato un tassista abusivo kabu kabu che ha ammesso di avere accettato di accompagnare la donna in cambio di denaro.

La seconda operazione è avvenuta la scorsa settimana, quando la Mobile ha fermato un altro taxi pirata con una donna che trafficava altri venti ovuli di stupefacenti. Sui kabu kabu la Questura rassicura: si tratta di un fenomeno circoscritto, con solo qualche occasionale episodio, riscontrato di tanto in tanto.

Per comprendere quindi la diffusione dei taxi abusivi legati alla comunità nigeriana bisogna avvicinarsi, partendo dalla stessa comunità da cui nascono.

È qui che il nostro Virgilio ci viene in aiuto: «Non sono tanti i nigeriani con la patente a Padova in proporzione alle dimensioni della comunità», racconta con un italiano zoppicante. Completa le frasi usando l’inglese quando non gli vengono le parole.

«Anche solo avere i documenti per poter fare la patente è difficile – aggiunge – soprattutto per chi ha solo dei permessi di soggiorno temporanei o richieste d’asilo. E poi gli esami e le auto costano molto. Non tanti riescono a guadagnare abbastanza». Pochi autisti, poche auto, poco denaro.

Resta però la necessità di muoversi in città. Dove allora gli autobus non possono portare, i taxi pirata offrono un’alternativa più economica di quelli con regolare licenza. Un viaggio dalla stazione a Vigonza, spiega I., costa intorno ai dieci euro. Ma trovare un kabu kabu non è impresa facile. Trattandosi di uno dei mercati sommersi dell’illegalità, è chiaro che i veicoli non viaggiano con insegne luminose sul tetto.

«Per chiamare un kabu kabu devi avere un amico che fa l’autista. Altrimenti i numeri di telefono girano solo con il passaparola, ma sempre tra amici fidati», racconta il 28enne. Mentre parliamo procediamo da via Annibale da Bassano fino a via Tiziano Aspetti. Qui I. ci porta in un bar dove alcuni autisti si ritrovano nel tempo libero.

Ma la diffidenza è una regola d’oro quando si vive di un mestiere che sfiora l’illegalità. Nonostante la cordialità iniziale, la richiesta di conoscere un tassista kabu kabu è vista con enorme diffidenza. Come biasimarli. Certo a Lagos sono la normalità, ma in Italia incombe il rischio di essere scoperti.

Il termine kabu kabu arriva infatti dall’Africa centrale. A Lagos, in Nigeria, sono uno dei principali mezzi di trasporto on demand. Lì viaggiano per lo più sulle motociclette, per sfrecciare meglio tra il traffico. Ma a Padova preferiscono le auto. Il termine è arrivato in Italia insieme agli immigrati.

Fallito il tentativo all’Arcella, la nostra guida suggerisce di spostarci in Stazione. È uno dei luoghi di ritrovo della comunità nigeriana, specialmente per i ragazzi più giovani. Individuare dei clienti dovrebbe essere più facile, ci dice la guida.

All’improvviso, come niente fosse, notiamo un’auto che si inserisce nella corsia dei taxi e si ferma davanti all’ingresso della stazione. Mentre un ragazzo guida, altri due corrono e lo raggiungono. Uno carica uno zaino nel bagagliaio, poi entrambi aprono le portiere e salgono. Infine l’auto sfreccia in direzione del cavalcavia Borgomagno.