L’intervento. Il silenzio dei reticenti: il diritto all’informazione sovvertito per i cronisti di Domani e La7
Riceviami e pubblichiamo
Soltanto il 29 agosto, a distanza di oltre un anno e mezzo dai fatti oggetto di ipotesi di reato, sul quotidiano La Verità viene pubblicata la notizia di una presunta violenza di gruppo che sarebbe stata perpetrata da due giornalisti, Sara Giudice e Nello Trocchia, ai danni di una collega giornalista nel gennaio 2023. L’articolo dà conto della richiesta di archiviazione della Procura di Roma avverso la quale la querelante ha già presentato opposizione con udienza fissata al 10 dicembre prossimo.
La notizia piomba nel silenzio assoluto di tutti gli altri giornali e fa rumore non soltanto per la notorietà dei presunti autori del reato. Ma anche per la cortina fumogena che ha celato, per oltre un anno, i fatti oggetto di indagine che soltanto a opera di un quotidiano che non appartiene all’area politica della sinistra, vengono rivelati. Eppure a sinistra si è gridato al bavaglio quando la riforma della giustizia del Ministro Nordio ha limitato la pubblicazione delle intercettazioni ai casi di riproduzione del contenuto in un provvedimento del Giudice o di utilizzazione in dibattimento.
Il diritto all’informazione ha sempre avuto la prevalenza sulla segretezza delle indagini
La Federazione nazionale della stampa italiana ha subito dichiarato: “In tema di pubblicazione del contenuto delle intercettazioni l’unico criterio di riferimento deve essere l’interesse pubblico a sapere, il diritto dei cittadini a essere informati…” Le redazioni di area centrosinistra non hanno infatti mai esitato a pubblicare notizie su indagini appena iniziate, su fatti smentiti dagli accusati e non ancora verificati dalle Procure . E quindi non soltanto prima che si concludesse il processo ma addirittura l’attività investigativa, anche a costo di compromettere il sereno svolgimento delle indagini che, come è noto, devono restare segrete, sia per tutelare l’indagato, a ciò serve o dovrebbe servire l’informazione di garanzia, sia per non comprometterne l’esito. Il diritto all’informazione ha sempre avuto la prevalenza sulla segretezza delle indagini, anche a costo di sacrificare la dignità dell’indagato e il buon risultato del lavoro delle Procure.
Il diritto all’informazione ha sempre avuto la prevalenza sulla segretezza delle indagini,
Non è sfuggito a questa regola ferrea il caso di Leonardo Apache La Russa, figlio del Presidente del Senato, finito nel tritacarne e sostanzialmente ritenuto colpevole ancor prima dello svolgimento delle indagini; nonostante l’indagato avesse smentito l’accusa e vi fossero molte contraddizioni nella denuncia della querelante, quasi che per lui la celebrazione del processo fosse superflua. Fin qui l’affermazione del diritto assoluto a informare sempre e comunque. Tuttavia, all’improvviso, inspiegabilmente, il sacro principio viene sovvertito.
Sussisteva nel caso dell’indagine per violenza a carico dei giornalisti il diritto all’informazione? Forse non vi era l’interesse pubblico a conoscere che fosse in corso un’indagine, per l’ipotesi di un reato odioso, a carico di chi svolge la funzione di informare? Oppure stavolta si è voluta fare un’eccezione facendo prevalere il diritto alla riservatezza sul diritto all’informazione? E se è così ciò è accaduto, perché il diritto alla riservatezza è appannaggio di una parte politica? Attendiamo risposte. Da garantisti saremmo lieti se tale sussulto di civiltà giuridica fosse sintomo di un mutamento di opinione da parte della sinistra. Ma in questo caso non accetteremmo più di vedere sbattere il mostro in prima pagina a indagini ancora in corso, soprattutto se il mostro appartenesse a un’area politica che alla sinistra non piace.
*Sen. Susanna Donatella Campione
Componente commissione bicamerale femminicidio
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