De Cecco, le Olimpiadi ricarica per il Belluno. «Momento giusto per fare il primo allenatore»
Il posto giusto al momento giusto, nella categoria giusta. Matteo De Cecco sente di essere pronto, per la sua prima avventura da capo allenatore.
L’esperienza non gli manca, in quanto da vice ha conosciuto il volley di alto e altissimo livello. Non ultima, la partecipazione alle Olimpiadi con la nazionale slovena.
Il 55enne tecnico friulano di Majano avvertiva, però, l’esigenza di tentare quel passo in più e al tempo stesso il Belluno Volley lo ha votato come figura a cui affidare un compito arduo e pieno di stimoli: portare in serie A2 i rinoceronti.
Coach, cosa l’ha spinta ad accettare la proposta di una società che lei conosce ma che al tempo stesso sembra non contemplare altri risultati al di fuori della promozione?
«Il Belluno ha ritenuto io avessi le capacità per prendere in carico la guida della squadra e al tempo stesso io da qualche anno mi stavo convincendo a fare altrettanto. Debuttare in Superlega, A2 o magari all’estero sarebbe stato più complicato a dire la verità, mentre l’A3 è il campionato ideale, perché ti dà il tempo materiale per lavorare su idee, concetti e futuro. Ciò lo farò in un ambiente che ho potuto conoscere e nel quale mi sono trovato bene. Ho motivazioni a mille, ancor di più alla luce degli obiettivi dirigenziali».
Che strana questa A3 con gironi da 10 e 11 squadre. Non sono poche 18 partite di stagione regolare?
«Premetto subito una cosa: affrontare un numero di partite più ridotto del solito non significa che ci alleneremo meno, anzi il contrario! Da lunedì e sino a fine marzo, andranno costruite le solidissime basi con le quali affrontare poi il momento decisivo dell’annata, ossia i playoff. Qui aumenteranno stress, emotività e pressione, dunque bisognerà essere pronti. Detto ciò, parliamo di una categoria che a oggi rappresenta un crocevia tra professionismo e dilettantismo. C’è chi l’affronta due, tre anni e poi preferisce tornare dove gli oneri risultano inferiori. Giusto o sbagliato che sia, non giudico. Altri invece la vedono come una palestra in vista dell’obiettivo di puntare ai massimi livelli del volley italiano».
Quindici giocatori in roster. Non pochi…
«Non è un problema l’abbondanza, se questa è la domanda. Il direttore sportivo Alessandro Carniel è stato bravo, perché non era semplice entrare nel mercato a metà maggio, quando la società ha scelto come e con chi impostare la nuova annata. Nonostante ciò, abbiamo portato a Belluno giocatori di alto profilo tecnico e mentale, i quali garantiranno ad esempio allenamenti sei contro sei di notevole livello. Avremo un paio di sestetti intercambiabili, in cui tutti potranno dare il loro contributo. C’è chi magari gestisce meglio l’inizio della partita, chi ha la freddezza di entrare nel momento clou del set… Ecco, piuttosto la sfida sarà lavorare affinché i ragazzi, tutti pressoché abituati a un posto da titolare nelle rispettive squadre, capiscano che magari a volte dovranno dare un apporto diverso a quello a cui erano abituati. Non per questo però dovranno far venire meno il loro contributo».
Dei Giochi cosa ci racconta? Una sola sconfitta per voi, quella ai quarti contro la Polonia.
«Abbiamo vissuto un’esperienza che nulla c’entra dal punto di vista emotivo e mediatico con altri eventi internazionali. Essere atleti olimpici lo ritengo un privilegio e un lusso. Guardando ai risultati, siamo stati gli unici a sconfiggere la Francia poi vincitrice dell’oro e solo il gioco degli incroci ci ha messo contro ai quarti con la numero uno ranking. L’amarezza è durata un giorno, poi ci siamo riempiti il cuore d’orgoglio. Nel 2015 eravamo 38esimi della classifica mondiale…».
Si è concesso qualche incursione nelle altre arene?
«In quella del beach, a vedere la coppia di… alieni svedesi formata da Ahman e Hellvig. Loro fenomeni, la location ancor di più. Giocare sotto la Tour Eiffel è l’equivalente del disputare una partita di calcio dentro il Colosseo. C’era gente che piangeva, nel vedere questo simbolo mondiale illuminarsi a ritmo di musica».
Comunque lei può testimoniarci se le polemiche che abbiamo sentito riguardanti villaggio olimpico e quant’altro, erano motivate oppure no.
«Effettivamente non c’erano i condizionatori in camera, ma la federazione slovena ha provveduto a farcene avere e dunque il clima era poi ideale per dormire. Non capisco invece le lamentele legate al cibo, perché noi ci siamo trovati benissimo. I letti erano sì di cartone nella struttura, ma il materasso era normale e consentiva di riposare bene. Ripeto, io ero al debutto in un’Olimpiade, però parlando anche con chi ha già vissuto esperienze a Cinque cerchi, mi è quasi sembrato certe polemiche fossero pretestuose».