OpenAI continua a stringere accordi con i grandi editori, l’ultimo è Condé Nast
Nonostante gli editori tradizionali siano stati costantemente battuti – sia a livello di business, sia a livello tecnologico – dalle nuove aziende di BigTech, queste ultime risultano ancora fortemente attratte dal mondo dell’editoria tradizionale. Lo abbiamo visto prima con i social network e con i motori di ricerca che, inizialmente, servivano soltanto come vetrina ai progetti editoriali e poi si sono trasformati essi stessi in editori (sottraendo sempre più spazio a chi produceva contenuti nativamente e costringendo questi ultimi a utilizzare i servizi messi a disposizione), lo stiamo vedendo adesso con ChatGPT e con tutti quegli strumenti basati sull’intelligenza artificiale. Sta cambiando la fruizione del web: se prima si ricercava un concetto, una notizia, un fatto su un motore di ricerca che restituiva dei risultati editoriali, adesso sembra molto più semplice per l’utente fare una semplice domanda a ChatGPT, in alcuni casi, senza nemmeno compiere lo sforzo di scriverla. Tuttavia, i vertici di OpenAI sanno benissimo che c’è sempre un qualcosa che loro non avranno mai a disposizione e che, invece, rappresenta l’ultimo baluardo degli editori: l’autorevolezza, l’heritage direbbe qualcuno. Per questo motivo editori e OpenAI stanno cercando di stringere sempre più accordi, nella speranza – i primi – di trovare una via d’uscita al loro perenne stato di crisi, con la convinzione – dei secondi – di riuscire a trovare una sorta di alveo di legittimità al loro lavoro.
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Editori e OpenAI, a chi giova l’accordo?
Da qualche tempo, OpenAI sta cercando di entrare in contatto – riuscendoci – con i principali editori internazionali. Negli ultimi giorni, l’azienda fondata da Sam Altman ha annunciato anche la collaborazione con l’editore Condé Nast che, nel suo roster di pubblicazioni, ha progetti di spessore come il New Yorker, GQ, Vanity Fair e Wired. Nel comunicato che spiega questa partnership, OpenAI svela che i contenuti di queste testate potranno trovare spazio all’interno dei suoi prodotti. Al plurale. Perché non si parla soltanto di ChatGPT, ma anche del prototipo SearchGPT.
Quest’ultimo è un progetto – che è stato annunciato qualche settimana fa – che è stato diffuso, al momento, soltanto tra alcuni utenti che si erano messi in lista d’attesa per testarlo. Stiamo parlando di un vero e proprio motore di ricerca, che sulla base delle domande rivolte dagli utenti, proverà a utilizzare l’intelligenza artificiale per ottimizzare i risultati di ricerca. Oltre a effettuare una sintesi di queste ricerche, sulla base dei leak che sono stati diffusi in questi giorni, SearchGPT provvederà a fornire agli utenti anche una lista di risultati “editoriali”, chiaramente distinguibili per fonte di provenienza e raggiungibili attraverso un click. Insomma: una sorta di nuovo Google (o – se preferite – di un nuovo Google News) che intercetta proprio quel cambiamento di abitudine dell’utente di cui si parlava a inizio articolo.
Se è vero che SearchGPT non utilizzerà – stando alle dichiarazioni di OpenAI – soltanto i risultati dei suoi partner editoriali, è pur vero che questi ultimi saranno maggiormente coinvolti nel progetto e saranno chiamati a fornire dei feedback per cercare di migliorare la qualità dei risultati di ricerca suggeriti e la loro attendibilità. Ma, quindi, se la partnership non è necessaria per entrare nel progetto SearchGPT cosa significa, esattamente, stringere un accordo tra editori e OpenAI? Sicuramente, all’origine di tutto questo c’è un tentativo di migliorare l’addestramento del chatbot di OpenAI anche su argomenti di attualità, partendo da fonti ritenute attendibili. Il progetto finale, che traspare dalle parole degli stakeholders coinvolti, è sicuramente quello di portare i contenuti editoriali all’interno di progetti come ChatGPT (lo stesso SearchGPT potrebbe essere in qualche modo assimilato da ChatGPT). Brand Lightcap, direttore operativo di OpenAI, ha affermato a margine dell’accordo con Condé Nast: «Ci impegniamo a collaborare con Condé Nast e altri editori di notizie per garantire che, mentre l’intelligenza artificiale svolge un ruolo più importante nella scoperta e nella diffusione delle notizie, mantenga accuratezza, integrità e rispetto per la qualità dei reportage». In chiusura di comunicato, però, si chiarisce ulteriormente la missione: “integrare più profondamente il giornalismo con i servizi di intelligenza artificiale”. Un’affermazione che non suona per niente bene.
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