Sui Colli padovani il rifugio per gli animali salvati dal macello
Il maialino Aladino gioca tra le zampe dei bovini Scatenato e Mirtillo, mentre l’asinello Botto e le sue due amiche dalle lunghe orecchie mangiano olive dagli alberi. Tre cani bianchi gironzolano felici e oche e anatre riempiono l’aria di suoni in una calda mattina estiva.
Quattro capre e cinque pecore pascolano all’ombra, circondate da galli, tacchini e galline.
Immaginare un luogo dove gli animali da reddito vivono liberi e in comunità, senza il rischio di essere sfruttati o macellati, sembra un’utopia nell’epoca degli allevamenti intensivi.
Eppure, tra le colline di Arquà Petrarca, questa realtà esiste: “Botto and Friends”, il santuario per animali di via Fontanelle, realizzato da Matteo Zanato con il supporto di tanti volontari.
“Botto” non è una fattoria didattica o un allevamento, ma un luogo che ospita animali salvati dal macello, dallo sfruttamento o da situazioni difficili.
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Qui possono vivere liberi e salvi, senza fini di lucro, per il resto della loro vita. Inoltre, il santuario vuole promuovere un cambiamento ideologico e di abitudini, in un’ottica antispecista: tutti gli esseri viventi sono uguali, con pari diritti e dignità.
L’idea è nata per caso durante il lockdown, quando Matteo, 47 anni, ha accolto nella sua casa la prima pastora maremmana abruzzese abbandonata.
«In quel periodo ho riflettuto sul fatto che tutti gli esseri senzienti meritano considerazione e ho deciso di dire basta al loro sfruttamento e a quello del Pianeta», racconta Zanato.
«Ho voluto fare qualcosa di concreto e così ho accolto il primo asino, Botto, destinato a finire in un piatto di “polenta e musso”.
Non sapevo nulla sugli animali da cortile, ma con alcuni amici abbiamo preparato stalle, recinti e affrontato la burocrazia. Ho anche seguito dei corsi per capire come garantire il benessere degli animali che avrei ospitato. Ora sono ben 35».
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La storia del santuario è cresciuta piano piano: prima è arrivata l’asina Birra e poi tre capre, Margherita, John e Rosy, tutte usate allo sfinimento per la riproduzione e il latte. Poi sono arrivati tre maialini, Jimmy, Aladino e lo sfortunato Jerry, che avrebbero dovuto diventare “porchetta”, come gli agnelli Uva e Flash, destinati al pranzo di Pasqua.
E poi cani, galline, tacchini, anatre e oche. Infine, Lala, l’asina più grande per taglia e età, che viveva sola in un box minuscolo.
Il grande spazio verde di tre ettari, con 600 alberi, si è gradualmente riempito di animali, salvati grazie all’impegno di associazioni come Lav e Ribellione Animale. Questi animali vivono in armonia come in una grande famiglia, con le loro abitudini, umori e simpatie: «Intorno a me ci sono tanti individui rifugiati, sfuggiti allo sfruttamento o all’abbandono. Il mio scopo è garantire loro la miglior qualità di vita fino alla fine naturale», sottolinea Zanato.
«Ognuno di loro è libero di scegliere in ogni momento cosa fare, lontano da ordini “superiori”».
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Da circa un anno, il santuario è visitabile ogni domenica gratuitamente, non solo per conoscere gli abitanti, ma anche per aiutare i volontari e partecipare agli eventi di sensibilizzazione sull’antispecismo, sul cibo vegano e sul rispetto: «C’è tantissimo lavoro da fare e molte spese, tra foraggio, vaccinazioni e cure.
Gli enti non ci hanno mai aiutato, ci finanziamo con le donazioni di tanti privati e per questo chiediamo a chi può di sostenerci economicamente o come volontario, le nostre porte sono sempre aperte a chi vorrà aiutarci e gli amici animali li ricompenseranno con il amore e simpatia».
Nel santuario, la libertà si intreccia con il rispetto per la vita, permettendo agli animali di riscoprire la dignità e di abbracciare un’esistenza lontana dalla violenza. In un momento di cambiamento sociale, “Botto” è il luogo in cui i diritti degli animali sono davvero realtà.