Preghiere nei centri islamici, Comune di Monfalcone pronto al ricorso
MONFALCONE L’avvocata Teresa Billiani depositerà nei prossimi giorni, per conto del Comune di Monfalcone e in qualità di sua consulente legale confermata dalla giunta, l’impugnazione al Consiglio di Stato delle due sentenze con cui i giudici del Tribunale amministrativo regionale a fine giugno hanno accolto i ricorsi dei centri culturali islamici, dando loro ragione.
E di conseguenza annullato le relative ordinanze dirigenziali emesse dall’ente lo scorso 15 novembre, per inibire la preghiera di massa nei locali. Provvedimenti assunti adducendo l’asserita incompatibilità della pratica religiosa con la vigente destinazione d’uso apposta al Piano regolatore.
L’annuncio è stato dato via diretta social da Anna Cisint. Impossibile porre ulteriori specifiche domande, poiché l’assessora non ha inteso fornire al telefono ulteriori ragguagli, rimandando a un comunicato ufficiale che giungerà prossimamente. Ma aleggia già l’eventualità dell’ennesima richiesta di sospensiva, che se accolta – per ipotesi – farebbe ripiombare la situazione indietro fino allo scenario di qualche mese fa, con i locali del centro “ricongelati” e il braccio di ferro (vedi il corteo degli oltre 8 mila all’antivigilia di Natale) tra comunità musulmana e amministrazione, sulla ricerca dei luoghi deputati a salmodiare.
È infatti in astratto prevista, anche in questa caso, la possibilità di sollevare istanza cautelare, come del resto fin qui in precedenza proposto solo dalla parte islamica, nelle varie fasi del contenzioso aperto formalmente da gennaio, con il legale di fiducia Vincenzo Latorraca: si tratterebbe in questo caso di una sospensione degli “effetti” del verdetto del Tar, in attesa del giudizio nel merito del Consiglio di Stato, massimo organo e ultimo grado della giurisdizione amministrativa. Bisognerà capire quindi se il Comune intraprenderà questa strada, nella sua strategia. Lo stesso Latorraca se l’aspetta e la dà come «probabile richiesta» della controparte.
È stato del resto proprio l’avvocato ingaggiato dal Darus salaam e dal Baitus salat, a metà luglio, a far notificare le due sentenze – speculari come lo sono state le ordinanze dirigenziali per i due centri – e quindi, con questo passaggio, ad accorciare i tempi dell’eventuale ricorso: non più, ai sensi delle procedure, sei mesi bensì 60 giorni, al netto però della sospensione delle attività per la pausa estiva, con le aule deserte dall’1 al 31 agosto.
Ma a quanto pare l’amministrazione non avrà bisogno dell’ulteriore lasso di giorni, dal momento che proprio ieri Cisint ha dato come imminente il deposito dei due ricorsi. Impugnazioni con controparte quei «centri islamici che il Tar del Friuli Venezia Giulia, a differenza del Tar del Veneto, ha ritenuto di aprire, incredibilmente, con una sentenza più politica che tecnica». «Lo ribadisco – ha scandito a favor di videocamera – e mi assumo sempre la responsabilità di quel che dico, perché se fosse vero quanto motivato dai giudici i piani regolatori potrebbero non servire più e noi potremmo cestinarli, perché l’impatto urbanistico è anche quella roba lì».
E qui s’è riferita alle proteste a suo dire riportate al venerdì dagli abitanti per «il posteggio sul marciapiede» di svariate biciclette davanti ai centri islamici, dove si «sono fatti cinque turni per pregare» (proprio per evitare il contestato sovraffollamento). Situazioni ai suoi occhi «non compatibili» con la presenza di residenti. Sicché chiede ai cittadini di «continuare a dirlo», a riferire le presenze e «il disturbo». «L’impossibilità di vivere negli appartamenti va dichiarata – sempre Cisint – perché il Tar ha detto che non c’è impatto urbanistico: non è dimostrato». E invece «hai voglia che c’è, perché quando negli ambiti di locali piccoli trovi trecento persone, l’impatto esiste».
Diametralmente opposto il punto di vista di Latorraca: «Non sarà facile, per chi intende impugnare, trovare motivi di appello solidi, perché le sentenze sono state ben scritte». Può essere che l’esecutivo non l’abbia presa bene, ma «poco importa perché ne fa una questione elettorale e politica, mentre invece il sostegno giuridico delle tesi sussiste». Il verdetto del Tar «ha dal nostro punto di vista dei punti di forza, una robusta e salda argomentazione, nient’affatto, come forse qualcuno pensa, mal esposta».