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Август
2024

Poste serbe chiuse in Kosovo: l’ira di Belgrado

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BELGRADO Nei Balcani dei banali uffici postali possono trasformarsi in un incubatore di nuove tensioni, forse addirittura di un conflitto. Il caso si sta sviluppando ancora una volta in Kosovo, dopo l’ennesima controversa operazione delle autorità di Pristina, che hanno sguinzagliato la propria polizia nel nord del Paese, area sensibile, a maggioranza serba.

Autorità che hanno poi annunciato la chiusura forzata di ben nove filiali di Posta Srbije che ancora operavano nell’area, fornendo preziosi servizi ai serbi del Kosovo: lettere, telegrammi, stipendi e pensioni, in arrivo dalla Serbia. Ma le Poste serbe non avrebbero alcun diritto di rimanere nel Kosovo indipendente e quelle filiali erano «illegali», ha spiegato la polizia kosovara, illustrando che l’operazione è stata realizzata su richiesta dell’Authority kosovara sulle comunicazioni elettroniche e postali, l’Arkep, attivatasi appunto a causa della presenza di «uffici postali non registrati e senza licenza». La chiusura è stata accolta con rabbia e proteste, in particolare a Mitrovica nord, la parte serba della “piccola Berlino” del Kosovo, divisa su basi etnica dal fiume Ibar.

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Il provvedimento arriva a soli due mesi da una operazione speculare – e altrettanto rischiosa – della polizia kosovara, che aveva chiuso nel nord sei uffici di istituzioni finanziarie legate alla Serbia. Il tutto si dipana sempre nel perimetro della cosiddetta “guerra del dinaro”, deflagrata dopo la decisione di Pristina di dichiarare illegale l’uso della valuta serba in Kosovo, dove la valuta riconosciuta è l’euro.

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Ma sono migliaia i serbi del Kosovo che ricevono da Belgrado sussidi, pensioni e stipendi in dinari e da mesi sono in gravissima difficoltà. Lo saranno ancora di più senza uffici postali, uno degli ultimi baluardi dello Stato serbo rimasti operativi nel Kosovo auto-dichiaratosi indipendente nel 2008. E il rischio è che l’ultimo atto di Pristina spinga la regione verso un pericoloso punto di non ritorno. Lo confermano le reazioni negative registrate dopo l’azione contro le Poste serbe a nord. Azione che è nient’altro che «una chiara dimostrazione di forza» di Pristina, parte di una «costante persecuzione dei serbi rimasti in Kosovo e Metohija», ha attaccato il ministero serbo delle Telecomunicazioni.

Il «comportamento di Kurti», il premier kosovaro, sarebbe solo un «tentativo di provocare un conflitto armato», è andato giù ancora più duro il presidente serbo Aleksandar Vučić. «Noi non vogliamo la guerra, vogliamo preservare la pace», ma Kurti si muove «con atti deliberati, organizzati, con il sostegno di alcune potenze occidentali», ha rincarato. Difficile, però, immaginare qualche capitale europea o Washington dietro le mosse di Kurti. Lo suggeriscono le durissime reazioni arrivate propria dagli alleati Usa, che si sono detti «profondamente delusi» dall’iniziativa contro le Poste serbe, che rischia di portare a una «escalation delle tensioni regionali».

Molto critica anche l’Ue, che ha parlato di «passo unilaterale e non coordinato, che viola gli accordi presi durante il dialogo facilitato» da Bruxelles. E Bruxelles ha chiesto a Pristina di «riconsiderare la sua decisione» sulla chiusura delle filiali. Infine, Berlino. Con la Germania che ha apertamente avvisato Pristina che il Kosovo rischia che le sue aspirazioni europee «rimangano congelate», se persevererà su questa strada. —

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