Degrado Capitale, pure Carlo Verdone sbotta: “Famme scappà da Roma. Non ne posso più”
Dopo lo sfogo sul fatto che Roma sembra “il bagno di un autogrill”, Carlo Verdone torna a parlare della sua esasperazione per le condizioni di degrado in cui versa la Capitale. E confessa che ormai arriva a sognare di lasciarla. “Non ne posso più. Ci penso davvero, due o tre volte a settimana: famme scappà via. Non è un problema solo mio, conosco tanti amici che stanno valutando concretamente di andarsene da Roma. È la prima volta che succede”, spiega.
Verdone esasperato dal degrado di Roma: “Famme scappà”
Intervistato dal Fatto Quotidiano, Verdone punta l’indice contro l’incuria, che produce un degrado che si autoalimenta, perché porta le persone a non avere cura della propria “casa”. Il caldo, sottolinea, “rende ancora più invivibile una città così complicata”, “aggrava tutto, deprime, scoraggia”. “Ma il declino di questa città non è stagionale, è costante”, sottolinea il regista, ricordando la Roma raccontata da Fellini e spiegando che “era il 1971, sono passati più di 50 anni: è tutto uguale, non è cambiato niente”.
L’odissea personale durante l’incendio di Monte Mario
Nell’intervista trova spazio anche una riflessione sul recente, disastroso incendio di Monte Mario, che per lui si è anche trasformato in un’odissea personale. “Ero lì vicino, stavo lavorando in piazzale Clodio. Ho provato a tornare a casa, ma tutte le strade erano chiuse”, racconta il regista, chiarendo che neanche il fatto di essere in motorino lo ha salvato: “Sono finito incastrato in una specie di bolgia infernale: come mi muovevo trovavo una strada chiusa. Ero ostaggio, non riuscivo più a tornare a casa. Ho girato in via Ottaviano, pensavo di salvarmi, non l’avessi mai fatto: un cantiere, altra strada chiusa. Ho scoperto che a Roma ci si può ancora perdere alla mia età”.
I cantieri e il timore, condiviso con tutti i romani, che durino all’infinito
Verdone chiarisce di non essere ostile ai cantieri, che potrebbero lasciare la città migliore, sebbene alcune cose “andavano fatte molto, molto prima”, ma di temere, come tutti, che “si possano allungare oltre misura”. “Allora no, diventerebbe l’ennesimo guaio”, avverte, puntando l’indice contro la burocrazia e ricordando di quando “qualche anno fa un fulmine colpì la statua di Garibaldi al Gianicolo, non so quanti anni ci sono voluti per rimetterla a posto, per tutto quel tempo lì non si poteva più girare una scena”.
Roma come un bagno a cielo aperto: “Cara amministrazione, che ci vuole a mettere dei vespasiani?”
Si arriva poi al capitolo, dolentissimo, della città come “bagno di un autogrill”. Verdone descrive le scene indecorose che quotidianamente si vedono a Roma, affacciandosi dalla finestra di casa come passeggiando in centro, con gente che “si cala i pantaloni e lascia un bel ricordo”. “Ogni volta che torni a casa, ti devi controllare le suole delle scarpe. È indecoroso, impensabile per le capitali europee ‘normali’. C’è un concorso di colpa, è chiaro: c’entra pure il senso civico delle persone. Ma cara amministrazione, che ci vuole a mettere dei vespasiani?”, domanda quindi.
Il rammarico di ritrovarsi a parlare male di Roma
Poi parlando dei “Cestò”, i nuovi cestini dei rifiuti messi per il Giubileo e subito diventati banchetto da buffet per i volatili, Verdone ricorda che pure i gabbiani, che ormai imperversano in città, sono “il risultato di una città sporca”. “Roma è sporca da troppo tempo e questa è la conseguenza”, dice, spiegando di vivere con rammarico il ruolo di cittadino che critica la sua città. “Mi dicono ‘hai parlato male di Roma’. Ma come fai? Come ti giri, non vedi più una strada normale. Non c’è un centimetro di muro che sia stato risparmiato. Tag, firme, scritte, brutture, sfregi. Questa città deve essere considerata come la nostra casa. Quando una casa è tenuta bene, quando ci entri stai attento, cammini in un certo modo, ti siedi composto, fumi fuori dalla finestra. Mostri attenzione. Quando una casa è trascurata, invece, ognuno si sente in diritto di trattarla male”.
Cicalone, la sicurezza e la risposta che arriva dal governo, non dal Campidoglio
Infine, rispondendo a una domanda di Tommaso Rodano, che firma l’intervista, su Simone Cicalone, l’influencer che affronta i borseggiatori in metropolitana, il regista sottolinea che la vicenda è “un po’ triste” perché “dovrebbe essere la città a prendersi cura della sicurezza, non questa specie di Robin Hood improvvisato”. “È vero, potrebbe tranquillamente essere un mio personaggio. Sotto la metropolitana ci vorrebbero più agenti in borghese, non è un lavoro che può fare chi conta di prendere i like. Certo Roma è talmente grossa, talmente affollata. Ormai, bisogna dire la verità, ci sono più turisti che romani. Mi rendo conto che è tutto complicato, siamo in un momento di declino da tutti i punti di vista. Ma è così strano chiedere meno Cicalone e più polizia?”, conclude Verdone. Che in questo senso ha ricevuto, indirettamente, una risposta. Non dal Campidoglio, ma dal governo: proprio oggi, infatti, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha annunciato la nascita della Polmetro, un corpo di agenti dedicato alla sicurezza nelle metropolitane delle grandi città. A partire da Roma.
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