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Август
2024

Trieste sotto terra, viaggio tra rifugi, bunker e gallerie dentro la città segreta: la mappa interattiva

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TRIESTE La città di Trieste presenta, all’occhio attento, indizi di un mondo sotterraneo artificiale risalente alla seconda guerra mondiale: dai pozzi di aerazione di piazza Puecher e Carlo Alberto, alle porte di ferro mimetizzate nei vani di cemento e nei sottoscala, giungendo alle tante gallerie murate nascoste dai posteggi. Oltre ai bunker, come quello di Miramare.

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Difficoltà museali

Si tratta di un “rimosso” che, con l’eccezione dell’azione divulgativa svolta a titolo volontario da parte della Società Adriatica di Speleologia (SAS) e del Club Alpinistico Triestino (CAT), non è stata ancora valorizzato e inserito in un compiuto itinerario museale che partendo dalla parte emersa, ovvero dalla vasta collezione del Civico Museo della Guerra per la Pace “Diego de Henriquez”, indaghi l’iceberg sommerso che sono le fortificazioni, i bunker e i rifugi costruiti nel triennio 1943-45.

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Si tratta di una labirintica distesa di rifugi e gallerie che, sebbene conosciuta dai triestini e oggetto di indagini molto accurate da parte della SAS, presenta difficoltà museali notevoli: molte gallerie sono in territori privati, altre ancora sono state vandalizzate o affittate a persone che le hanno adibite a discarica.

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I sotterranei bellici

I sotterranei bellici possono essere divisi tra ricoveri antiaerei di costruzione italiana e bunker militari costruiti durante “l’occupazione diretta e totale” del Reich. Il primo corso informativo di edilizia antiaerea tenutosi a Roma nel 1936 raccomandava già la costruzione di “ricoveri antiaerei pubblici” che dovevano essere “a prova di bomba, a tenuta stagna, nei punti più movimentati e con un facile accesso”.


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A seguito invece dell’armistizio dell’8 settembre 1943, la Venezia Giulia divenne un territorio direttamente amministrato dal Reich: sebbene oggigiorno la storiografia concordi che si trattasse non di un’annessione diretta all’impero tedesco, ma di un protettorato, de facto l’Adriatisches Küstenland era un territorio separato dall’Italia.

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La prima ordinanza del Supremo Commissario del Litorale Adriatico Friedrich Rainer recitava che “tutti i poteri pubblici e civili sono vigilati esclusivamente da me”, la Guardia Civica doveva giurare fedeltà a Hitler e lo stesso passaggio da parte di cittadini italiani a Trieste era regolato con permessi di pochi giorni, alla pari di un confine nazionale. Il Litorale d’altronde costituiva un punto di raccordo e di snodo importante, quale ultima linea difensiva (Alpenfestung) tra il fronte italiano e il fronte balcanico rispetto ai valichi alpini verso la Germania. Trieste, in questo contesto, era la chiave di volta dell’intero sistema repressivo del Litorale; e non sorprende allora come i tedeschi vi avessero incardinato un massiccio sistema di fortificazioni ben lontano dal churchilliano “ventre molle d’Europa”.

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Dalle Rive a Villa Necker

Partendo dalla zona antistante il mare, le Rive, correva un muro di calcestruzzo alto due metri e mezzo, volto a bloccare l’eventuale sbarco di mezzi anfibi. Passando invece dal “sopra” al “sotto”, è possibile iniziare dalla scuola Lionello Stock: a breve distanza dalla grande viabilità si trova una galleria antiaerea che, nelle intenzioni iniziali, avrebbe dovuto riconnettersi al sistema sotterraneo di Villa Necker.

Tutt’oggi sede del Comando Presidio Militare, la Villa presentava sotterranei e luoghi di ricovero che si ipotizza connessi con un’altra galleria antiaerea, oggigiorno collocata in via Principe di Montfort. Un’ipotesi ricorrente afferma che, essendo stata utilizzata dai nazisti quale garage, la Galleria ospiti ancora in un braccio laterale un cingolato. Sempre nella stessa zona, spostandosi nel giardino di piazza Carlo Alberto, è possibile notare un pozzo di aerazione: era connesso con la galleria antiaerea di via Guido Reni, oggigiorno sede dello Speleovivarium.

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Da San Vito a via Fabio Severo

Salendo dal rione di San Vito al castello di San Giusto, i nazionalsocialisti avevano costruito un bunker sulla Galleria Sandrinelli, con affaccio su piazza Goldoni; si è a lungo dibattuto, per quanto concerne il castello, se le gallerie di contromina seicentesche fossero state utilizzate onde giungere in via del Monte e in Città Vecchia.

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Attraverso viale Giosué Carducci si giungeva in uno dei principali centri di potere del Reich: via Fabio Severo e via Romagna costituivano sottoterra un vasto reticolo di sale, ricoveri, depositi a chiusura stagna, comandi e centri radio. Se in superficie erano considerate “fortezze” gli edifici del Tribunale e delle Carceri, i bunker sotterranei congiungevano in teoria Villa Ara, oggigiorno demolita, Villa Geiringer, presso Scorcola e gli ambienti sotterranei dell’Ospedale MIlitare, quest’ultimi intravisti da Monsignor Santin.

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Oggigiorno il rifugio antiaereo “Kleine Berlin” è piuttosto conosciuto, ma occorrerebbe evidenziare la vicinanza al rifugio di via Tibullo con deposito esplosivi, il rifugio di via Virgilio e in particolare il rifugio di Villa Ara, quest’ultimo tra i pochi con una feritoia corazzata per mitragliera e leve di chiusura dei portelloni ancora funzionanti durante l’esplorazione del 1988.

L'area di via Rossetti

Proseguendo verso via Domenico Rossetti si incontra, ancora presenti nel sottosuolo, un vasto insieme di gallerie e bunker; il secondo maggiore complesso sotterraneo costruito dal nazismo. Il riferimento in superficie era il grande parco, lottizzato e preda della speculazione immobiliare nel 1970-80, di Villa Modiano dove aveva sede il Gauleiter carinziano Rainer.

Uno degli ingressi è ancora presente in via dell’Eremo: le pareti laterali di cemento, concave onde deviare gli spostamenti d’aria derivanti dai bombardamenti, si aprono su una porta blindata con feritoia, alla quale segue un sistema di gallerie connesso a un rifugio militare esteso tra via Mameli, via dei Porta e via Piccardi.

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Il Carso

Salendo verso l’Altipiano del Carso, Opicina presenta tutt’oggi un elaborato sistema di fortificazioni tedesche, potenziato tra il 1944-45 da campi minati, trincee e soprattutto batterie di cannoni. Partendo dal parcheggio del Quadrivio di Opicina e salendo il vicino sentiero è possibile imbattersi nel primo rifugio, formato da due gallerie parallele Nord-Sud; poco distante è facile trovare il secondo rifugio caratterizzato da una feritoia per arma da fuoco e da una sala per i generatori elettrici. Infine il terzo rifugio militare, collocato quasi ‘sotto’ l’Obelisco, presenta un’ampia camera scavata nella roccia, secondo una diffusa voce utilizzata per il ricovero delle motrici del tram.

Infine, utilizzando il sentiero che porta alla cisterna romana, è possibile scoprire una successione di sette bunker, sepolti nel verde del Carso. Si tratta in realtà di casematte per mitragliatrici, due delle quali recano inciso rispettivamente il nome Gustav ed Emil. Mettendoli tutti assieme viene fuori un percorso storico unico.

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