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Июль
2024

Trans alle Olimpiadi, il silenzio delle nuove femministe. Ma c’è chi si ribella: “Uno sconcio”

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Da “Non una di meno” a “Non una ti meno”. La battuta circola sui social e dà il senso dello sconforto rispetto al silenzio di alcune femministe sul caso di Imane Khelif, la pugile algerina trans nata uomo e ammessa a combattere alle Olimpiadi contro le donne, nonostante in passato fosse stata esclusa dai mondiali per non aver superato il “gender test”. Quello di Khelif non è l’unico caso in questo senso: anche la trans taiwanese Lin Yu-ting ha avuto accesso ai combattimenti nella categoria pesi piuma femminili. Combatterà venerdì. Khelif, invece, combatterà domani contro l’italiana Angela Carini.

Le donne messe all’angolo. Del ring

Il caso delle trans ammesse alle gare sportive femminili riapre un dibattito già ampiamente affrontato e rispetto al quale sembrava che qualche passo avanti a tutela delle donne (perché di questo si tratta) fosse stato fatto, dopo una stagione nefasta in cui l’ideologia gender aveva preso il sopravvento. Il pensiero va al caso Lia Thomas. Invece, nella Parigi inclusiva di Macron, le donne si ritrovano di nuovo all’angolo. In questo caso di un ring, con l’aggravante che la concorrenza sleale di un’atleta nata uomo può comportare anche rischi per l’incolumità fisica dell’avversaria.

“Uomini che menano le donne Olimpiadi Edition”: la voce di quelle che dicono no

Di tutto questo c’è ampia consapevolezza nel mondo del femminismo storico, da sempre in prima linea contro la deriva gender, e di quello che guarda al maschile e al femminile in termini di complementarità e non di opposizione e, soprattutto, non certo di sovrapposizione. Il coordinamento Daria sintetizza quello che sta accadendo in una locandina che recita “Uomini che menano le donne Olimpiadi edition. Benvenuti nell’era della disuguaglianza sportiva in nome dell’inclusività”.

La rabbia di Marina Terragni e delle femministe storiche per le atlete trans alle Olimpiadi

I social di Marina Terragni, giornalista e scrittrice  femminista, in queste ore sono pieni di post contro la scelta del Comitato olimpico: oggi, tra l’altro, ha condiviso il comunicato del ministro Roccella sul tema, suggerito che “potrebbe diventare uno sport a sé: uomini che picchiano le donne” e rilanciato un editoriale del Foglio intitolato “Fare a pugni con la realtà” e accompagnato da un appello a Malagò per “il ritiro della nostra atleta a salvaguardia della sua incolumità”. Ieri Terragni ha postato un commento nel quale sottolineava che “alle Olimpiadi due pugili trans MtF stanno per battersi con due donne. Uno sconcio senza pari” e un link a un articolo sul “Perché il gender è la nuova omofobia (oltre che essere tremenda misoginia” della rete RadFem. Anche sulla pagina facebook di questa realtà, che spiega di essere “solo con donne”, la contrarietà alle atlete trans che combattono con le donne è totale: “Olimpiadi sempre più ideologiche, sempre più misogine”, è il commento al post rilanciato dell’atleta americana Riley Gaines, per la quale il caso di Imane Khelif è “solo un altro motivo per boicottare le Olimpiadi”.

Il silenzio dei collettivi femministi

Epperò a fare più rumore, come spesso accade, sono i silenzi. Tanto più se si riscontrano proprio da parte di quelle realtà che negli ultimi anni hanno avuto maggiore visibilità. Navigando sui social dei collettivi Se non ora quando e Non una di meno, infatti, allo stato attuale, non si trova traccia della questione, eppure il primo è attivissimo nel commentare i risultati delle atlete italiane, anche quelli di oggi. Quanto a Non una di meno, che del resto si fregia del titolo di “movimento femminista e transfemminista”, l’ultimo post è un report dell’8 luglio su “femminicidi lesbicidi trans*cidi”. Una menzione, poi, la merita anche un altro soggetto politico che ultimamente è stato presente (anche) sulle questioni femminili: il collettivo dei giovani comunisti CambiareRotta, che si è imposto alle cronache soprattutto per le piazze pro-Pal e che non ha difettato di impostarle anche in chiave femminista. Anche loro di quello che sta accadendo a Parigi non sembrano essersi accorti, forse perché troppo impegnati ad esultare per la vittoria di Maduro in Venezuela.

(In foto, un dettaglio della locandina del coordinamento Daria)

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