’Ndrangheta a Ivrea, cinque condanne
/IVREA
Condanne per complessivi 28 anni, a fronte degli oltre 41 richiesti dall’accusa, nel processo di primo grado con rito abbreviato per gli imputati canavesani legati alla ’ndrangheta in quello che è diventato il filone del “trucco della valigetta”.
Per finanziare l’organizzazione criminale i malavitosi sempre più spesso abbandonano i canali classici e redditizi ma sempre più spesso smantellati dalle forze dell’ordine, come il narcotraffico ripiegando anche su truffe e raggiri.
Lo hanno plasticamente spiegato i pubblici ministeri Dionigi Tibone e Livia Locci, che hanno chiesto cinque condanne a pene comprese fra i 10 e i 4 anni di carcere, per un totale di 41 anni. La tecnica è semplice: si avvicinano facoltosi commercianti e imprenditori, gli si propone di acquistare una somma di denaro “sporco” a un prezzo inferiore, gli si mostrano mazzette di banconote vere e poi, con destrezza, si scambiano le valigette in modo che il malcapitato si ritrovi con carte di giornale e persino pacchetti di caffé. Ma perché passare dai milioni della droga a truffe da cinepanettone?
Lo ha spiegato un boss intercettato: «Al massimo ci prendiamo 4 anni per truffa». Comunque nell’inchiesta Cagliostro, portata a termine tra Ivrea e Chivasso, la Dda ha contestato anche l'aggravante dell'agevolazione ad associazione mafiosa.
Ieri, giovedì 25, a Torino (processo a porte chiuse) nell’abbreviato (che prevede lo sconto di un terzo della pena ed esaurisce il processo in udienza preliminare, sulla base del fascicolo del pm) il giudice ha inflitto 8 anni ad Antonino Mammoliti (difeso dagli avvocati Celere Spaziante e Paolo Maisto) a fronte di una richiesta di pena di 10 anni e 8 mesi. Sei anni per Flavio Carta (difeso dall’avvocato eporediese Leo Davoli). Per lui erano stati chiesti 9 anni e 4 mesi. Per Stefano Marino (difeso da Ferdinando Ferrero che ne aveva chiesto e ottenuto la scarcerazione) 5 anni e 6 mesi a fronte della richiesta di 9 anni dei pm. Maurizio Aniello Buondonno (difeso da Enrico Scolari) è stato condannato a 5 anni e sei mesi a fronte di una richiesta di 8 anni. A Francesco Vavalà inflitti 3 anni rispetto ai 4 richiesti. Le ipotesi d'accusa formulate dai pm Livia Locci e Dionigi Tibone della Dda erano di associazione di tipo mafioso, truffa aggravata, estorsione, ricettazione, usura, violenza privata e detenzione e porto illegale di armi aggravati dal metodo mafioso. Il gup ha ritenuto provato il reato associativo per quattro dei cinque imputati. Il solo Stefano Marino ha dimostrato di esserne estraneo. Tutti i legali annunciano ricorso.
L’operazione ha comunque innescato un terremoto ad Ivrea, città che sembrava indenne dalle infiltrazioni ’ndranghetiste ed invece operava la cosca degli Alvaro di Sinopoli. L'esponente di spicco è ritenuto Domenico Alvaro soprannominato Il biondo, residente a Chivasso, 45enne figlio di un boss dell'organizzazione radicata nel territorio calabrese. Il blitz delle forze dell’ordine era scattato all'alba del 20 aprile 2023 con nove arresti e venti indagati rimasti a piede libero. Dalla lettura delle carte emerge come la ’ndrina avrebbe avuto due articolazioni: l’una dedita al traffico internazionale di sostanze stupefacenti (sgominata nell'ambito dell'operazione Cerbero, a Torino, del novembre 2019) e dall’altro il “ramo” truffe.
«Ad Ivrea gli imputati si accreditavano come persone legate a famiglie criminali calabresi prospettando alle vittime, alcune delle quali in difficoltà economica, la possibilità di acquistare ingenti somme di denaro sporco a prezzi convenienti, versando come anticipo un acconto anche sotto forma di lingotti d'oro e gioielli» hanno spiegato i pm.
Poi il colpo di scena. Come in decine di film più o meno famosi, i malcapitati, ingolositi dall’affare, aprendo le valigette anziché le banconote trovavano pacchi di caffè e fogli di giornale. I reclami per avere indietro il loro denaro si arenavano di fronte alle credenziali esibite dagli imputati che a fronte dell’appartenenza alla ’ndrangheta scoraggiavano ogni pretesa. Le somme sottratte in modo fraudolento supererebbero i 600mila euro.