Padova divisa sulle Zone 30: cosa sono, a cosa servono e perché qualcuno dice che sono inutili
Inquinamento versus sicurezza. Il dibattito sulle cosiddette “Zone 30”, ovvero quelle aree dove si è deciso di applicare un limite di velocità di 30 chilometri all’ora per migliorare la sicurezza stradale, anima da alcuni anni la politica e la cittadinanza padovana. Ma si è rinvigorito da quando uno studio realizzato dal Mit (Massachusetts Institute of Technology) sulla città di Milano ha di fatto avallato l’equazione per cui se si va più lenti si consuma di più. Uno studio – va detto – fortemente contestato, non solo dalle associazioni ambientaliste, più che altro perché si basa sull’ipotesi che nel traffico urbano le auto possano costantemente viaggiare a velocità tra i 60 e 70 chilometri all’ora.
Ma il dibattito sulle zone 30 è esploso in tutta Italia. Tanto cha a Padova Fratelli d’Italia ha chiesto di sospendere immediatamente la misura nella città del Santo. Ma dalla giunta guidata dal sindaco Sergio Giordani è arrivato un secco no: è una questione di «sicurezza», basata sulla necessità di tutelare la mobilità più debole, vale a dire ciclisti e pedoni. In città esistono già più di 55 chilometri di strade dove il limite è stato fissato a 30 chilometri orari. E l’obiettivo è quello di arrivare a una “Città 30”, come Bologna, con tutte le zone residenziali a velocità limitata.
Cos’è la Zona 30
La zona 30 è un’area circoscritta, in genere delimitata da assi di viabilità principale, che nasce con lo scopo di proteggere gli utenti deboli, migliorare la funzionalità e la sicurezza delle strade e, quantomeno in premessa, ridurre l’inquinamento atmosferico, acustico e visivo.
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Nelle strade urbane il limite di velocità previsto dal Codice della strada è di 50 chilometri all’ora, ma i Comuni hanno la possibilità di abbassarlo. In Italia la misura è stata introdotta nel 1995, all'interno delle direttive per la redazione dei Piani Urbani del Traffico (PUT).
L’indirizzo del Comune di Padova
Come detto, l’obiettivo di Palazzo Moroni è quello di allargare il limite dei 30 chilometri all’ora in tutte le aree residenziali della città. Un obiettivo che sarà perseguito «con gradualità e buon senso».
Insomma, quello che il capoluogo emiliano ha realizzato a gennaio 2024 con un unico – e rumoroso – provvedimento, Padova lo sta coltivando da diversi anni, con il primo esperimento nel 2019 in zona Palestro.
E con un Pums (Piano urbano della mobilità sostenibile) che mette nero su bianco l’indirizzo dell’amministrazione: «Il concetto di Zona 30 andrà trasformato in quello di Città 30, secondo il quale tutte le strade che non svolgono un ruolo strategico nell’organizzazione generale della circolazione del traffico privato e del trasporto pubblico possono utilmente subire un abbassamento generalizzato dei limiti di velocità, ottenendo vantaggi significativi in termini di innalzamento della sicurezza e di riduzione del livello di gravità degli incidenti».
Le attuali zone 30 a Padova
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I residenti del rione Palestro
Ad aprire le danze con la Zona 30 in città, è stato appunto il quartiere Palestro, una zona residenziale di pregio, a ridosso delle mura cittadine. Precisamente, le strade soggette al limite sono quelle racchiuse tra le vie Vicenza, Volturno, Sorio e la ferrovia.
Tra i promotori dell’operazione, a suo tempo, c’era stato il comitato “Palestro 30 e lode” che, come spiega Davide Guerini, «si è costituito proprio sulla necessità di una zona 30 che fosse a tutela della mobilità dolce, della ciclabilità e dei pedoni, per evitare il traffico eccessivo».
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A cinque anni di distanza, non sembra essere andata proprio così. «Fatta in questo modo è fallace – conferma Guerini –. Il limite non viene rispettato e alla mattina il traffico è scandaloso, perché il quartiere viene usato come scorciatoia. Su via Monte Cengio gli 80 all’ora si vedono come se piovessero».
A questo punto la domanda è: cosa si può fare per migliorare? «Alcune nostre richieste sono state recepite dall’amministrazione, che ha predisposto due chicane – ammette Guerini – ma non è abbastanza. C’è bisogno di una ridefinizione complessiva dello spazio urbano che favorisca le relazioni tra pedoni – ragiona – e di una ridefinizione della viabilità per rendere ostico l’attraversamento del quartiere in auto. Serve verde, anziché parcheggi, e bisogna illuminare gli attraversamenti». E chiude: «Essendo il primo quartiere che ha adottato la misura, si potrebbe sperimentare e osare di più».
Favorevoli e contrari
Dunque, da una parte la richiesta dei cittadini di una maggiore sicurezza sulle strade. Dall’altra alcuni automobilisti che lamentano tempi di percorrenza troppo lunghi.
Ma cosa dice la scienza? Secondo un recente studio sulla città di Milano, le aree a 30 all’ora provocano «non solo un lieve aumento dei tempi di percorrenza ma ha anche delle emissioni inquinanti, in particolare di monossido di carbonio (Co), anidride carbonica (Co2), ossidi di azoto (Nox) e particolato (Pm), soprattutto nelle ore più trafficate del giorno».
La spiegazione starebbe nel fatto che i motori termici sono progettati per avere la migliore efficienza di consumo intorno ai 70-80 chilometri orari: «in caso di applicazione del limite dei 30 all’ora nell’intero territorio del Comune di Milano le emissioni di Co2 aumenterebbero dell’1,5%, mentre quelle di Pm (le polveri sottili, ndr), particolarmente nocivi per la salute umana, del 2,7%».
Dopo la pubblicazione dello studio, il gruppo di Fratelli d’Italia nel parlamentino padovano è tornato sul piede di guerra: «Ora abbiamo la prova scientifica che le misure copia e incolla adottate dalla amministrazione Giordani sulla falsariga di Bologna e Milano creino più problemi di quelli che vorrebbero risolvere – accusa il consigliere comunale Enrico Turrin – Ricordo nella classifica nazionale sull’inquinamento atmosferico Padova è per Pm2,5 la terza peggiore città italiana, quarta per il Pm10 e settima per il biossido di azoto. È facile desumere che quanto sperimentato a Milano sia riscontrabile anche a Padova, dove la sinistra ecologista ha imposto all’amministrazione Giordani provvedimenti analoghi».
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Da qui la richiesta di uno stop immediato: «Certamente, in questo periodo di caotici cantieri disseminati ovunque, sarà difficile percorrere la città con velocità superiore ai 30, ma vorremmo fosse testata una simulazione in condizioni normali – prosegue – La stessa Legambiente, di cui l’assessore alla mobilità è stato presidente, aveva elaborato un dossier il cui intento era di smontare quelle che definivano “bufale” e “false credenze” sulle zone 30. Ebbene, chiediamo anche alla illustre associazione ambientalista che si confronti con gli scienziati del Mit, prima di indurre in possibili errori chi amministra la città. È evidente come con la pseudo-scienza ambientalista con la quale governa questa amministrazione, si rischi solamente di consegnare ai padovani una città più trafficata e più inquinata di prima».
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La replica dell’assessore Andrea Ragona: «È evidente che le zone 30 non servono a ridurre l’inquinamento ma sono prevalentemente una questione di sicurezza stradale – chiarisce – Gli esponenti di FdI vorrebbero far andare le auto a 70-80 all’ora nelle zone residenziali? Noi ci preoccupiamo della sicurezza della mobilità debole, in primis anziani e bambini».
Il parere dell’esperto: «Nelle nostre città non servono a nulla»
«Il limite dei 30 all’ora, secondo me, non è adatto alle città italiane proprio per così come sono state progettate le loro strade», sostiene l’urbanista padovano Antonio Buggin, che svolge attualmente attività di ricerca all’Università di architettura Iuav di Venezia nell’unità di ricerca “Energia e città”, dove si occupa di economia e contabilità ambientale applicata alla sostenibilità delle trasformazioni e alla rigenerazione del territorio. «A differenza di altri Paesi, infatti, queste non sono inserite all’interno di piazze o aree pedonali; dunque, mettere un limite del genere è riduttivo. Permettere ai conducenti di poter transitare ai 60-70 chilometri orari è sicuramente meglio, perché le auto inquinano di meno, ma soprattutto, mantenere una bassa velocità non è funzionale a garantire una maggiore sicurezza visto che le nostre strade non sorgono all’interno di centri abitati».
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Ma dove invece è necessario il limite a 30? «Le città del Nord Europa, come Svezia, Danimarca, ma anche Germania, hanno strade all’interno di zone pedonali, quindi la differenza tra le due tende a scomparire – spiega Buggin –. Qui l’autista è costretto a transitare a basse velocità per non investire i pedoni. Questo ha quindi un senso: le auto sanno di essere allo stesso livello delle persone a piedi e quindi non accelerano».
Hanno collaborato Claudio Malfitano, Luca Preziusi, Cecilia Vania