I cittadini chiedono misure per ridurre le disuguaglianze ma la politica non ci sente. Dietro c’è anche un problema di percezione
Pubblichiamo un contributo di Camilla Borgna, Renzo Carriero e Filippo Barbera, docenti di Sociologia all’università di Torino
Negli ultimi trent’anni, le diseguaglianze economiche in Italia, già alte rispetto agli altri paesi Ocse, sono decisamente aumentate, sia in termini di reddito che di ricchezza. A fronte di ciò, non dovrebbe sorprendere che sia alta anche la domanda di redistribuzione: indagini internazionali come la European Social Survey o l’International Social Survey Programme mostrano che il sostegno per le politiche redistributive è estremamente alto. Ad esempio, nel 2022, il 73% degli italiani era d’accordo con l’affermazione che “il governo dovrebbe prendere delle misure per ridurre le differenze nei livelli di reddito”. Tuttavia, tali politiche non sono spesso prioritarie nelle agende dei partiti. Potremmo quindi chiederci perché i politici – compresi quelli di sinistra – non raccolgano questa domanda redistributiva.
Peraltro, questo disallineamento fra ‘domanda’ e ‘offerta’ politica non è una peculiarità italiana. La ricerca si è concentrata su due principali spiegazioni. Da un lato, è stato argomentato che i gruppi sociali che hanno più da guadagnare dalle politiche redistributive sono meno capaci di mobilitarsi e trasmettere la loro domanda rispetto a coloro che si oppongono a tali politiche, i quali sono spesso anche tecnicamente più preparati nel complicato ambito fiscale. Dall’altro lato, le volontà redistributive dei cittadini non si traducono automaticamente in un supporto elettorale per i partiti con agende redistributive. Questo per due ragioni: anzitutto, i cittadini possono percepire la redistribuzione come meno rilevante, di per sé, rispetto ad altre questioni che li toccano più da vicino, come inflazione, disoccupazione, pensioni, sanità. Inoltre, il voto non è sempre razionale ma ha anche una componente valoriale e identitaria, poco reattiva al contenuto dei manifesti elettorali. Sia la spiegazione che chiama in causa gli interessi organizzati, sia quella per cui il voto non coincide con gli atteggiamenti nei confronti della redistribuzione si basano sull’assunto che i politici siano consapevoli dell’alta domanda di redistribuzione, ma decidano di ignorarla perché la considerano elettoralmente irrilevante.
Ma siamo sicuri che i politici abbiano una percezione corretta della domanda redistributiva? In realtà, alcuni studi documentano l’esistenza di un ‘bias conservatore’ nelle percezioni che i politici hanno del proprio elettorato. Nel 2018, David Broockman e Christopher Skovron condussero un’indagine online su oltre 3,500 candidati ed eletti locali negli Stati Uniti, chiedendo loro di collocare le opinioni dei cittadini su una serie di temi, come controllo delle armi, matrimoni gay e immigrazione, per poi confrontarle con indagini rappresentative della popolazione americana. I risultati mostrarono che la maggior parte dei politici, in particolare del fronte Repubblicano, tendevano a immaginarsi gli elettori, compresi quelli del proprio partito, più conservatori di quanto fossero in realtà. Nel 2023, un team di ricercatori europei guidato da Jean-Benoit Pilet replicò lo studio su un numero più ridotto di politici belgi, canadesi, tedeschi e svizzeri trovando, anche in questo caso, che i politici collocavano le opinioni degli elettori più a destra della realtà su diverse questioni, compresa la redistribuzione. Inoltre, a differenza del contesto americano, il ‘bias conservatore’ in questo caso riguardava in egual misura i politici di destra e quelli di sinistra.
Anche nell’ipotesi in cui i politici fossero perfettamente consapevoli della domanda redistributiva e del suo valore elettorale e fossero personalmente favorevoli a mettere in campo azioni politiche congruenti, potrebbero sussistere ulteriori ostacoli cognitivi. Ad esempio i politici potrebbero temere che i propri compagni di partito o di coalizione giudicherebbero negativamente misure fortemente redistributive e pertanto astenersi dal proporle. In termini sociologici, questa circostanza si definisce “ignoranza pluralistica”, che è una sorta di profezia autoavverante: se credo erroneamente che la mia opinione sia minoritaria, mi asterrò dall’esprimerla in pubblico per evitare di essere emarginato dal mio gruppo di riferimento. Poiché anche gli altri membri del gruppo incorrono nello stesso errore di valutazione, il risultato finale sarà che l’opinione pubblicamente espressa non corrisponderà a quella personale che si ha in privato. Questo può portare al risultato paradossale per cui anche nei partiti di sinistra pochi o nessuno osi proporre politiche redistributive.
Nel contesto italiano, il ruolo delle percezioni e delle idee dei politici nei confronti della redistribuzione non è stato ancora indagato. Nell’autunno 2023, abbiamo condotto alcune interviste esplorative a deputati e senatori dei maggiori partiti. In controtendenza con la letteratura internazionale, dove il bias conservatore riguarda anche politici di sinistra, qui non sembra emergere lo stesso fra i politici del cosiddetto campo largo (Pd, AVS, M5S). Gli intervistati, sia uomini che donne di varie appartenenze territoriali, appaiono consapevoli della forte domanda redistributiva presente in Italia. L’ipotesi dell’ignoranza pluralistica non può essere confermata da queste prime risultanze in quanto i politici intervistati non si sono esposti sui conflitti di idee interni al partito, se non in termini di episodi passati (ormai superati) o riferiti al rapporto tra partiti di coalizione. L’unica questione su cui si riconosce l’esistenza di posizioni discordanti fra compagni di partito è quella della patrimoniale: per alcuni intervistati, è proprio questo il “grande tabù” della politica italiana e chi si azzarda a toccarlo rimane bruciato.
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