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Июль
2024

I detenuti del carcere di Venezia raccontano la vita in cella: «Latte diluito con l’acqua e sedativi»

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Il latte diluito con l’acqua a colazione, i farmaci più comuni che diventano introvabili, l’aria sempre più asfissiante in celle con il terzo letto a castello. Questo raccontano alcuni detenuti della casa circondariale di Santa Maria Maggiore nelle lettere indirizzate all’Assemblea anti carceraria di Venezia. Lettere scritte su fogli strappati dai quaderni, in stampatello, costellate di punti esclamativi per esprimere la propria rabbia e frustrazione verso il sistema.

«Qui, i tentati suicidi succedono abbastanza spesso, e sono proprio i compagni di cella a salvare i detenuti che provano a togliersi la vita» scrive M.N., sottolineando l’urgenza di un dialogo con il direttore, il reparto educativo, il garante «per non usare più la forza facendo rivolte. Dobbiamo essere migliori ma abbiamo bisogno di aiuto perché qui ci proibiscono praticamente tutto» aggiunge. Un esempio? «Il servizio sanitario è uno scandalo. Non esistono visite specialistiche, le medicine mancano e i detenuti vengono sedati con gli psicofarmaci» prosegue.

«Lo scorso aprile un 20enne veneziano ha provato a togliersi la vita con un’overdose di pastiglie, ma la notizia non è uscita da qui», scrive un altro, raccontando la storia di un giovane che trascorreva la giornata in una cella di 20 metri quadrati con altre due persone e due ore d’aria al mattino e due al pomeriggio.

Per quel ragazzo, il suicidio era l’unico spazio di libertà, l’ultima capriola concessa nell’angolo della reclusione, tra i letti a castello della sua cella. «Non si può morire di psicofarmaci dati dal carcere e dallo Stato, a vent’anni» commenta il compagno, sottolineando come lì manchi tutto, «dal lavoro, che è essenziale, alle attività educative e sportive, oltre che l’aspetto medico e psicologico».

Chiedono un reale percorso di reinserimento, sanno di aver sbagliato, lo ammettono, e vogliono diventare persone migliori ma si sentono inchiodati all’impotenza, nelle loro celle claustrofobiche, in cui sperano che non sia la persona che dorme accanto a loro, il prossimo suicida. Perché sanno che ci sarà sempre un prossimo.

«Qui vogliono nascondere tutto, ma è molto importante che le morti in cella non siano vane. Non si può più rimandare, perché di carcere si muore». Si conclude così, una delle lettere, con un appello al cambiamento, ai diritti, imprescindibili anche in cella. Si dice che il grado di civiltà di un Paese si misuri sulla condizione nelle carceri e da Santa Maria Maggiore i detenuti lo dicono chiaro e tondo: «Non è un Paese civile, se veniamo trattati come bestie».