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Июль
2024

La versione di Cochi: «Nella Milano del boom con Renato ed Enzo»

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LIGNANO. La vita l’è bela. Soprattutto per Cochi: sessant’anni di spettacolo in coppia con l’amico Renato Pozzetto, affiancati da genio folle come Enzo Jannacci, sul palco e poi in televisione. Ma anche al cinema (diretto da grandi registi) e in teatro: Aurelio Ponzoni, in arte Cochi, racconta la sua vita nel libro La versione di Cochi (la Nave di Teseo), a cura di Alberto Crespi, che sarà presentato oggi alle 21 a Lignano, nella chiesetta di Santa Maria del mare nell’ambito della rassegna Notti di mezza estate.

Cochi, com’è nata l’idea del libro? Una scelta o una necessità?

«Nasce tutto così: avevo deciso di lasciare scritto qualcosa alle mie quattro figlie, per ricordare chi sono. Volevo lasciare una testimonianza per quando non ci sarò più. Poi quando Alberto Crespi mi ha chiesto di farne ul libro, abbiamo pensato a una intervista approfondita. Ma a mia insaputa Crespi è andato dalla Elisabetta Sgarbi che ne è rimasta entusiasta e ha trasformato l’intervista in prosa...».

Cochie Renato . Una carriera assieme ma anche una grande amicizia...

«Ci siamo conosciuti da bambini, prima ancora di girare a cantare per le osterie di Milano. I nostri genitori serano amici, ci siamo conosciti in fasce. Quando a Milano sono cominciati i bombardamenti, ci siano rifugiati tutti a Gemonio».

Finita la guerra, il ritorno a Milano dove avete comunicato a muovere i primi passi nel mondo del cabaret. E avete conosciuto personaggi straordinari...

«A Milano dopo la guerra c’era un grande fervore, si cercava di rimettere assieme un’Italia disastrata, è stato un periodo di grande intensità. Frequentavamo il mondo dei pittori, diventammo amici di Piero Manzoni e di Lucio Fontana...»

A proposito, ma è vero che nella famose scatole di Piero Manzoni non c’era quello che si diceva ci fosse?

«A me raccontava che c’era marmellata di arance...»

Grandi personaggi, grandi incontri. Uno in particolare, Enzo Jannacci...

«Eravamo grandi amici. Era venuto nel 1964 a vederci mentre facevamo cabaret. Era il nostro mito. Abbiamo creato spettacoli e canzoni assieme. E facevamo assieme anche le vacanze, come quella volta che ci portò a Londra dove dormimmo in tenda. Ci siamo divertiti tantissimo con lui. Lo chiamavamo “schizzo”. Enzo viveva in due mondi separati: uno serio e uno folle. Come medico era serissimo: si era laureato nel 1969 mentre lavoravamo a uno nostro spettacolo, Santimbanchi si muore. Mi ricordo che sul palcoscenico si metteva appartato a studiare anatomia».

Con Jannacci avete scritto tante canzoni, diventate famosissime. Testi un po’ folli. Per esempio, in Silvano”: “enonvalevoleciccioli?” Che vuol dire?

«Era una frase che dicevamo da bambini, quando si barava si utilizzava quella frase lì. Abbiamo pescato nella nostra infanzia, nelle nostre canzoni non c’era nulla di inventato».

Con Pozzetto a un certo punto c’è stata una separazione consensuale...

«Sì, ognuno ha preso la sua strada. Ma ci siamo ritrovati nel 2000 in televisione e da allora, per 14 anni, abbiamo fatto uno spettacolo: ogni anno tre mesi di repliche».

Quali sono gli eredi di Cochi e Renato?

«Non ce ne sono, ci sono in giro tanti comici bravi, ma le nostre cose erano molto particolari, nascevano dalla nostra natura. Il nostro linguaggio era completamente diverso...».

Forse oggi manca un po’ di follia nella comicità?

«È un fatto generazionale, oggi i comici si ispirano alla realtà».

Musica, televisione ma anche tanto cinema con registi importanti, da Lattuada a Risi, da Steno a Monicelli...

«Ho avuto la fortuna anche di frequentarli anche nella vita privata. Ho un bel ricordo di Lattuada, con cui ho girato il mio primo film, Cuore di cane. Ero sul set con un mio idolo, Max von Sydow. Ho lavorato con Sordi, che da regista mi faceva vedere le scene che dovevo fare e io poi ridevo e non riuscivo più a stare serio».

E poi anche tanto, tantissimo teatro...

«Vent’anni di teatro, di tutto e di più, da Goldoni agli autori contemporanei. Ho lavorato anche quattro anni a Trieste con Orazio Bobbio, alla Contrada».

Ma è vero che a Trieste una commessa di un negozio si sorprese di vederla perché immaginava che fosse morto?

«Verissimo. Mi sono toccato ovunque! Non mi vedeva da un pezzo in televisione, pensava che fossi passato di là. Alla fine degli anni Sessanta eravamo molto popolari, ci seguivano anche 30 milioni di persone...».

Una curiosità: che ne pensa dell’intitolazione dell’aeroporto di Malpensa a Berlusconi? Voi ci avete fatto una canzone del 2000...

«Era un’idea di Renato, che all’epoca lavorava nel settore degli elicotteri. Il fatto dell’intitolazione di un aeroporto al Signor B è scandaloso: potevano pensare a Enzo Jannacci o ad Alessandro Magari, magari...».