Le bombe di Putin sull’ospedale pediatrico di Kiev: un crimine di guerra che ha provocato 30 morti e 100 feriti
In una guerra, più crudele dell’uccisione di bambini, c’è l’uccisione di bambini che in ospedale combattono già una guerra, quella contro un tumore. È accaduto anche questo all’inizio dell’ottocentosessantaseiesimo giorno di guerra in Ucraina, conflitto che non si doveva mai iniziare e che invece sta collezionando un numero impressionante di morti, e tra i morti tanti civili, e tra i civili troppi bambini.
A Kiev è mattina, un’altra giornata calda di questo luglio 2024, quando cominciano a piovere 40 missili russi. Cadono su Dnepr, Krivoy Rog, Slavyansk, Kramatorsk e sulla capitale. Uno dei missili, un potente Kh-101, centra l’ospedale pediatrico di Okhmatdyt, cade su terapia intensiva, sulle sale operatorie, su oncologia.
Mentre la nuvola nera si alza in cielo, dopo il silenzio che sempre segue l’esplosione, ecco le urla e i camici bianchi di medici e infermieri che si muovono tra le macerie per salvare chi è rimasto sotto. Uomini e donne dei palazzi vicini si uniscono a loro.
I bambini della guerra al tumore in braccio alle loro mamme, mascherina sulla bocca, berretto sulla testolina che ha dovuto sacrificare i capelli alla cura. I più grandicelli su sedie recuperate dalle macerie, con la flebo attaccata al braccio.
L’ospedale pediatrico Okhmatdyt è uno dei più importanti e conosciuti d’Europa, ha salvato migliaia di bambini.
Ad un tratto, i soccorritori chiedono l’aiuto di altri, hanno individuato una donna sotto le macerie. Quando la estraggono, è una maschera di sangue.
Ci sono medici e sanitari che entrano fin dove si può, per capire se qualcosa si può salvare. Le sale operatorie appaiono inutilizzabili. Ora l’urgenza è capire dove spostare i piccoli, non compromettendo il ciclo di terapia.
Una donna col camice bianco, i capelli raccolti sulla nuca, si porta le mani giunte davanti alla bocca. Non ha parole, solo lacrime, solo orrore.
Una mamma tiene in braccio il suo bambino, ha ferite in testa e in altre parti del corpicino. Il sangue del piccolo ha intriso la camicia della mamma. Gli occhi del bambino dicono meglio di ogni nostra parola di quanto orrore si sta macchiando l’umanità.
Più in là, un altro bambino è raggomitolato tra le braccia della madre, la manina sull’orecchio scoperto, quasi a difendersi dal rumore che ha la guerra. I baci della mamma sulla testa sono un gran conforto, l’unico possibile ora. Con i baci, la donna lo invita a dormire.
La cronaca per immagini dell’orrore al pediatrico di Kiev è un album fatto soprattutto di madri e di figli. Madre come lei, che tiene la mano sulla fronte del figlio che è stato trasportato fuori dall’ospedale sul letto, sofferente. Poco più in là, altre due madri, coi figli in braccio: la bambina ha riccioli ramati e una mascherina rosa sulla bocca, lui non ha riccioli sulla testa e il corpo suggerisce le due guerre, quella nel corpo, l’altra negli occhi.
Non lontano, si compongono i morti, coperti da tele cerate grigie. Sono due. Su uno una donna in nero più che piangere sembra chiedere “Perché?”.
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