Francia, il Fronte popolare ha vinto con proposte economiche di sinistra. Una lezione fiscale per i progressisti
Anche le elezioni francesi, come quelle inglesi hanno premiato i progressisti, pur in contesti differenti. Lascio a persone più competenti l’analisi politologica. Sono rimasto invece colpito dalle dichiarazioni di Enrico Letta, ex segretario Pd, che si è detto molto soddisfatto del risultato e ha invitato alla costruzione di una coalizione più larga per governare. Cosa che però lui non ha fatto nelle elezioni del 2022 portando alla capitolazione del fronte progressista.
A mio avviso, Enrico Letta è stato un segretario disastroso per il Pd. Intanto perché il suo moderatismo governativo ha fatto da incubatore al renzismo durante il suo governo, poi Renzi lo ha ripagato amaramente. In secondo luogo, perché è il responsabile del disastro elettorale del 2022 scegliendo di non coalizzarsi con il M5S. In questo modo il fronte progressista ha perso decine di seggi all’uninominale, anche per un punto in percentuale a volte, creando la corazzata della destra-destra. Peggio di così era difficile fare e Letta ha riparato nel suo dorato esilio francese da studioso.
Ma soprattutto pare che a Letta, come a molti conservatori sedicenti di sinistra, sfugga ancora un punto importante. La sinistra francese ha avuto un ottimo risultato perché ha fatto proposte economiche di sinistra. Sembra un’osservazione banale ma non lo è affatto. Il programma economico dei progressisti francesi è lontano anni luce da quello del Pd di Letta, ma fortunatamente non da quello dei progressisti di oggi, sia da lato delle uscite ma soprattutto da quello delle entrate. Un programma nettamente orientato a riequilibrare la distribuzione del reddito ora nettamente a favore dei privilegiati. Vediamo alcuni punti del programma del Fronte Popolare nel dettaglio.
Su versante delle spese, la variegata sinistra francese punta su tre misure centrali. Un primo provvedimento è la proposta di un aumento sostanzioso del salario minimo orario, ora a 11,5 euro lordi. L’idea è quella di portarlo dai 1.383 netti al mese di oggi, a 1.600 euro netti. Il costo stimato per l’erario è di 19 miliardi. Il provvedimento riguarda 3 milioni di lavoratori dipendenti, il 17% degli occupati. Una seconda misura è la riforma delle pensioni, contenuta anche nel programma della destra. Il progetto prevede il ritorno alla normativa precedente, in pensione a 60 anni, con qualche intervento migliorativo. Il costo pluriennale per l’erario è molto elevato e stimato in 58 miliardi di euro. Il terzo intervento rilevante è il blocco dei prezzi di prima necessità. Qui c’è poco da commentare. La misura propone di difendere il potere di acquisto dei ceti meno abbienti falcidiato dall’inflazione con un costo annuale per le casse dello Stato di circa 24 miliardi. Quindi il programma dei progressisti è a sostanziale trazione fiscale per intervenire dove il disagio economico è più forte. E questa è la parte, per così, dire tradizionale. E le risorse?
Interessante e innovativa nel campo progressista è la parte relativa alle entrate. Il Fronte Popolare non rinuncia a un ragionevole senso di responsabilità fiscale e propone alcune misure per compensare le nuove uscite. Sono tutte misure che vanno nel verso inevitabile di un aumento della tassazione. Ma aumentare per chi? E quanto? Le nuove tasse dei progressisti mirano a colpire i privilegiati del capitalismo odierno, azionisti e finanza in primis, e a riversare le risorse ottenute sui comuni cittadini. Una prima proposta vuole introdurre una tassa sugli extra profitti, anche a livello europeo, con un gettito stimato di 25 miliardi. In questi anni di vacche grasse da inflazione anche le imprese devono contribuire a risanare i conti pubblici. Una seconda proposta mira ad aumentare l’aliquota ora esistente sulle transazioni finanziarie delle grandi società, portandola dallo 0,3% allo 0,5%, con un gettito previsto di 9 miliardi. Anche qui, una sana regola per impedire i funambolici giri di titoli che ingrassano le finanziarie di vario tipo. Infine si richiede l’eliminazione della tassa piatta sulle rendite finanziarie, ora al 30%, per renderla progressiva. Oggi chi vive di finanza è un privilegiato del fisco, anche in Italia. Incasso previsto per lo Stato di 3 miliardi. Da ultimo, il programma del Fronte Popolare prevede anche una rimodulazione dell’Irpef per tassare i redditi più elevati e rendere più progressivo il sistema tributario.
Gli elettori francesi hanno gradito questo attivismo fiscale, sul lato delle entrate e delle spese, e hanno premiato anche al secondo turno con il loro voto questi interventi per moderare il nuovo, a volte vecchio, capitalismo. Non è allora verificato l’assioma, caro ad alcuni conservatori di sinistra, che invita tutti a non aprire il dossier tasse. Si può essere molto competitivi elettoralmente anche abbandonando ogni timidezza sul fronte fiscale. In una condizione di straordinario debito e di enormi diseguaglianze economiche e sociali, come quella attuale, bisogna che i ceti più abbienti facciano la loro parte, come già accaduto in passato. Creare per loro privilegi, o autentici paradisi fiscali, non aiuta l’economia e nemmeno la società. La sinistra non è populista, come la destra, quanto piuttosto popolare.
Guardando avanti, mi chiedo allora cosa aspettino i nostri leader progressisti, a partire da Schlein, Conte e tutti gli altri, a redigere il loro manifesto economico con delle proposte chiare e nette nel senso di una società più giusta, e per questo più produttiva, sul modello francese? Non si vincono i conservatori solo battendo il tasto, pur fondamentale, dei diritti civili, ma concentrandosi su quello economico, a partire dalla lotta all’inflazione e dal sostegno alle rivendicazioni salariali di milioni di lavoratori con il reddito falcidiato dall’inflazione. Su questo il governo Meloni non ha fatto nulla, e se ha fatto qualcosa ha favorito solo le lobby corporative e amicali.
Se vuole essere competitivo, il fronte progressista italiano deve scoprire le sue carte economiche, come ha fatto la sinistra francese, che non sono quelle della destra meloniana, tappetino felice dell’asfittico capitalismo italico. I cervelli tra i progressisti ci sono e anche le idee, eccome, ma manca il coraggio della volontà che speriamo arrivi presto, anche perché oramai siamo a metà legislatura. I limiti della melonieconomics sono manifesti e bisogna cominciare a guardare al futuro. Da questo punto di vista gli elettori francesi ci hanno dato una bella lezione, che non è certo quella del prof. Enrico Letta.
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