I laburisti vincono le elezioni nel Regno Unito. Brexit e crisi economica decisive
I laburisti hanno stravinto le elezioni inglesi. Keir Starmer sarà il nuovo primo ministro britannico, dopo 14 anni di ininterrotto governo conservatore. 410 seggi su 650. L’ultima vittoria risale al 2005 ed erano 27 anni (dai tempi di Tony Blair) che il centrosinistra non trionfava partendo dall’opposizione e non dal governo. Successo previsto, ma era attesa una debacle di queste dimensioni per i Tory che hanno incassato il risultato più basso di quasi due secoli di storia.
La valanga laburista ha conquistato un consenso che esce da anni difficili e mal governati, secondo molti elettori arrabbiati. Gli scandali (le feste di Boris Johnson e staff durante il Covid), la politica di tagli della meteora Liz Truss (durata a Downing Street 49 giorni), l’aumento della povertà, la crisi economica. E sotto tutto e a legare tutto: le conseguenze della Brexit, contestata e combattuta da sempre dal nuovo premier Keir Starmer, anche se “assente” dai temi della sua campagna elettorale.
Nel 2016 il 52% degli elettori inglesi con un referendum ha deciso l’uscita del Regno Unito dall’Europa, diventato poi effettivo il 31 gennaio 2020. Da quell’addio le conseguenze economiche e sociali sono state molte, troppe secondo molti: sul mondo del lavoro, sulle catene di distribuzione ed approvvigionamento, sulla finanza e sull’economia. Il Paese ha perso 5 punti di Pil in questi anni (stima Goldman Sachs). Secondo un rapporto indipendente della Cambridge Econometrics l’economia britannica ha perso 140 miliardi di sterline (circa 160 miliardi di euro), Londra 30 miliardi di sterline (oltre 36 miliardi di euro). E sono calati anche i posti di lavoro: quasi 2 milioni in meno nel Paese, 290mila nella sola capitale. Continuando così l’economia britannica potrebbe mandare in fumo 350 miliardi di sterline entro il 2035 (60 miliardi sono quelli di Londra). La Brexit ha colpito in modo sproporzionato il comparto manifatturiero e le imprese più piccole, che, secondo le stime, impiegano il 59% della forza lavoro.
Gli inglesi hanno visto il proprio reddito abbassarsi di 2mila sterline nel 2023, oltre 3400 sterline rispetto al 2022. Inflazione galoppante come in Europa è vero, ma proprio anche a causa dei rincari dovuti all’isolamento del Paese. L’introduzione di ispezioni e restrizioni delle merci (ora l’UE è come il resto del mondo per la Gran Bretagna) hanno portato a ritardi nelle consegne, carenza di rifornimenti nei supermercati e aumento dei prezzi. Al 10% più povero dei cittadini oggi mancano almeno 4mila sterline l’anno per avere la possibilità di raggiungere lo standard di vita che aveva prima del 2020. C’è poi la finanza. Gli investimenti finanziari verso la Gran Bretagna sono calati del 10% e le esportazioni verso l’Unione Europea sono diminuite del 15%.
Tutto questo ha portato nove inglesi su dieci ha dichiararsi delusi dalla Brexit, secondo un sondaggio dell’Observer. E c’è da scommettere che ha contribuito ieri al trionfo dei laburisti, ma soprattutto alla sconfitta storica dei conservatori.