“Un Egitto senza tortura”, a Mahmoud Hussein basta una maglietta per una condanna a tre anni
L’Egitto, da poco omaggiato dal governo italiano con l’inserimento nella lista dei paesi di origine sicuri, ha celebrato da par suo il 26 giugno, Giornata internazionale per le vittime di tortura. Proprio quel giorno Mahmoud Hussein, un attivista che durante una protesta pacifica aveva indossato una maglietta con una scritta contro la tortura, è stato condannato a tre anni di carcere. Il processo è stato celebrato presso il Tribunale speciale di emergenza per la sicurezza dello stato, i cui verdetti non sono appellabili: basta la ratifica del presidente al-Sisi.
????Condannato a tre anni di carcere per aver indossato una maglietta contro la tortura.
Succede in #Egitto nella Giornata internazionale per le vittime della tortura https://t.co/KGSslhtwgk— Amnesty Italia (@amnestyitalia) June 27, 2024
Per l’ennesima volta, dunque, il sistema giudiziario egiziano è stato usato come uno strumento per punire il dissenso e costringere al silenzio l’attivismo pacifico.
L’imputato è stato arrestato immediatamente dopo la lettura del verdetto e portato in carcere per scontare il resto della pena, avendo già trascorso dieci mesi in detenzione preventiva.
Mahmoud Hussein era stato arrestato per la prima volta il 25 gennaio 2014, al termine di una manifestazione pacifica per ricordare la caduta del regime di Hosni Mubarak, deposto tre anni prima. In quell’occasione, aveva indossato una maglietta con la scritta “Una nazione senza tortura” e una sciarpa col logo della Rivoluzione del 25 gennaio 2011. Aveva trascorso due anni in detenzione preventiva arbitraria prima di essere scarcerato su cauzione, a seguito di una campagna globale in suo favore. Ma nel 2018 era stato condannato in contumacia all’ergastolo. Durante la detenzione, funzionari dell’Agenzia per la sicurezza nazionale lo avevano sottoposto a maltrattamenti e torture, tra cui pestaggi e scariche elettriche sulle mani, sulla schiena e sui testicoli, per obbligarlo a firmare una “confessione”.
Era stato nuovamente arrestato nell’agosto 2023. Sottoposto a sparizione forzata per cinque giorni. Era stato messo in detenzione preventiva in attesa del processo per accuse inventate di appartenenza a un “gruppo terrorista”. In seguito, il 23 aprile di quest’anno, un giudice aveva ordinato la sua scarcerazione, avvenuta solo il 26 maggio, 33 giorni dopo.
In Egitto migliaia di persone continuano a essere sottoposte a detenzione arbitraria solo a causa dell’esercizio dei loro diritti umani, senza alcuna base legale o a seguito di procedure che violano il diritto a un processo equo.
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