ru24.pro
World News
Июнь
2024

Padova, i 100 anni di Scienze Politiche: «I ragazzi vengono per fare la differenza»

0
Padova, i 100 anni di Scienze Politiche: «I ragazzi vengono per fare la differenza»

foto da Quotidiani locali

La complessità di Scienze Politiche è nelle sue stesse fondamenta, posate nel 1924 all’interno di Giurisprudenza da Donato Donati, ebreo – convintamente – fascista.

Quest’anno il Dipartimento di via del Santo compie un secolo di vita e festeggia la capacità di adattarsi ai continui mutamenti della storia che ne hanno costruito quel bagaglio pesante di cui da ottobre è “guardiano” il professor Sergio Gerotto.

«Possiamo dire che Scienze Politiche ha passato tutto l’arco parlamentare» esordisce il direttore del Dipartimento «è nata nel periodo fascista con l’idea di formare i quadri dirigenti dell’amministrazione del nuovo regno. Donati è stato una personalità autorevolissima nel diritto internazionale ma anche uno dei fautori dello Stato fascista che aveva prefigurato come forma perfetta di Stato liberale democratico, al punto da arrivare ad accettare la destituzione in quanto ebreo».

Cosa resta di quel 1924?

«La preparazione per la pubblica amministrazione, anche se prima era il tutto e adesso è una parte. La capacità di adattamento e lo spirito di guardare oltre i confini nazionali, un seme piantato da Donati che oggi caratterizza i corsi che offriamo a partire da Scienze Politiche, relazioni internazionali, diritti umani che in qualche modo puntano verso una carriera negli organismi internazionali».

Sui diritti umani, malgrado l’attualità del tema, parliamo di carriere che rispondono più agli ideali che alla possibilità di realizzarsi.

«I nostri studenti puntano molto agli organismi internazionali: da quelli comunitari all’Onu. Forse il valore dei diritti umani non è ancora stato appreso: noi lo insegniamo assieme alla realpolitik internazionale. C’è una connotazione in qualche misura ideologica e quando si sceglie un percorso di questo tipo molto spesso ci si scontra anche con il fatto di andare incontro a difficoltà nel trovare una collocazione concreta, si fanno lavori poco retribuiti prima di inserirsi negli organismi internazionali per il poco valore che viene ancora dato ai diritti umani».

In questo ambito possiamo ancora dire che sfornate laureati “arrabbiati”?

«Magari, perché significa che si attivano per fare qualcosa. La rabbia a volte è il primo motore della motivazione, dell’attivazione di senso critico. Ovviamente nella storia di Scienze Politiche abbiamo anche visto che la rabbia mal indirizzata e mal governata porta a quello che è successo che negli anni ’70. Però diciamo che sì, speriamo di sfornare laureati “arrabbiati”».

E dei famigerati anni ’70 resiste qualcosa?

«Non credo molto. Però fa parte del nostro passato e il passato non va rinnegato, così come non abbiamo rinnegato quello di Donati. Toni Negri è stato uno studioso tra i più apprezzati a livello mondiale. Indipendentemente da responsabilità tutte da appurare e sapendo che anche le parole possono avere un ruolo nell’armare le persone. Io non entro nel merito delle sue responsabilità, dico che è stato uno studioso e un ricercatore che ha dato un contributo fondamentale alla storia della dottrina dello Stato. All’estero ce lo riconoscono come tale, non vedo perché non dovremmo farlo anche noi. Bisogna cercare di separare il profilo umano in quello scientifico».

Come si passa dal fascismo all’estremismo di sinistra, da un opposto all’altro?

«Dopo la Seconda Guerra Mondiale si era anche ragionato di chiudere Scienze Politiche, però è riuscita a sopravvivere. È un percorso di studi che ha saputo adattarsi ai mutamenti della società: la sua forza è questa. Per alcuni questa è un’accezione negativa poiché non è una laurea immediatamente professionalizzante, invece per noi è un punto di forza e lo è diventato ancor più dal secondo dopoguerra. Lascia aperte tantissime possibilità. Già Donati aveva capito l’importanza di uscire dalle frontiere e questo oggi caratterizza la nostra offerta: il corso di laurea in relazioni internazionali e diritti umani, infatti, punta a una carriera negli organismi internazionali. La capacità di adattamento che ha il nostro laureato è il valore aggiunto».

Ritiene che la presenza di Negri abbia in qualche modo caratterizzato Scienze Politiche?

«Direi di sì, nel senso che anche il fatto di prendere le distanze da certi atteggiamenti connota un’entità».

Gli studenti degli anni ’70 si distinguevano per l’impegno politico. Come si è arrivati all’idea di disimpegno di chi frequentava negli anni ’90?

«C’è stata una reazione opposta. Passata la stagione della forte connotazione politica, diciamo finanche eversiva, c’è stato un momento di perdita di credibilità. Gli anni ’90 sono stati quelli del forte tentativo di riaffermazione della qualità degli studi. Ricordo la presidenza di Giuseppe Zaccaria e il tentativo di rifondarla per dare nuova credibilità e forza. È stato un periodo in cui si è faticato parecchio».

Quanti sono i vostri studenti tra i Pro Pal del Bo?

«Quello è un ambiente molto variegato. Nel periodo dell’occupazione molti venivano da sedi esterne, altri gravitavano nell’ambito dei centri sociali. Però qualcuno dei nostri c’è. La composizione dei nostri studenti è molto sfaccettata: abbiamo chi pensa di scegliere la via facile, chi lo fa perché qui ha studiato papà, ma c’è una parte di studenti “arrabbiata”, che ha una forte motivazione anche sul piano ideologico: molto spesso sono quelli della corso di laurea in diritti umani. Sono quelli più attivi anche politicamente con manifestazioni che non riguardano solo la Palestina. Ho subito la mia prima occupazione poche settimane dopo essere entrato in carica, il tema era quello degli alloggi. Quando ho fatto notare a una studentessa che ero appena arrivato, mi ha risposto: eh ma fa curriculum. Tra gli studenti arrabbiati di oggi e quelli degli anni ’70, direi che ora sono più educati. Ma anche molto più smart e smaliziati».

Hanno ancora senso le occupazioni?

«Dipende. Parlando a titolo personale, mi sembra di vedere utilizzare degli strumenti del passato. Dopodiché dipende da come si utilizzano. Penso alle occupazioni Pro Pal: i ragazzi hanno delle istanze ma vogliono tutto. Se chiedi il dialogo questo deve essere bilaterale».

Dovendo dare un consiglio, chi dovrebbe fare Scienze Politiche?

«Noi diamo strumenti per interpretare l’attualità – sociale, istituzionale ed economica – nella sua complessità: è questo che deve essere in grado di fare un ragazzo che esce da qui. La differenza la fa il fatto di intraprendere un percorso di studi con uno spirito critico. Credo che uno si iscriva a Scienze Politiche perché sa che potrebbe fare la differenza. E vuole provarci».

Parafrasando il celeberrimo «stay hungry» (siate affamati) con cui Steve Jobs si rivolse ai ragazzi di ieri, si potrebbe dire «stay angry» (siate arrabbiati) a quelli di oggi.