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Июнь
2024

La scrittrice italo – palestinese: «Gli atenei come un ponte tra Israele e Palestina»

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La scrittrice italo – palestinese: «Gli atenei come un ponte tra Israele e Palestina»

foto da Quotidiani locali

Ci tengo a premettere due cose: la prima è che parlo a nome mio. Ci tengo a sottolinearlo come tengo a sottolineare il fatto che, oltre a essere italiana, ho lo status di rifugiata palestinese con cittadinanza giordana, poiché mio padre, insieme a tutti i suoi parenti, si rifugiò in Giordania quando una buona parte dei villaggi palestinesi furono sfollati a seguito della nascita dello stato d’Israele 76 anni fa.

Mi preme anche dire che provo un’immensa gratitudine per chi, da settimane, si è posto come priorità personale l’obiettivo di portare avanti una causa che altrimenti sarebbe rimasta sepolta sotto titoli e notizie del tutto sbilanciate a favore di una sola parte, non quella palestinese.

Provo anche ammirazione e un po' d’invidia per la tenacia e l’assolutezza con cui gli studenti avanzano le loro richieste. Ho vissuto l’adolescenza in Giordania, in un campo profughi palestinese, studiavo in una scuola dell’UNRWA. Erano gli anni dell’Intifada, e quando a scuola si organizzava qualche manifestazione a sostegno dei parenti rimasti nei territori occupati a lanciare pietre, mio padre mi impediva di parteciparvi; troppo pericoloso, mi diceva. Non capivo e mi arrabbiavo finché non notai come il giorno successivo alle manifestazioni buona parte di chi avesse partecipato spariva per un certo periodo e che quando ricompariva certi argomenti diventavano un tabù.

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Oggi vivo nel mio paese natale, l’Italia, dove vige la libertà di espressione e di manifestazione. Non sono più un’adolescente e le mie battaglie le esprimo con la penna. Vedendo gli studenti nel cortile Volta, mi sono chiesta quali fossero le richieste che hanno avanzato e che il rettore non ha accettato. Ho letto la petizione datata 29 maggio 2024. In questo documento i Giovani per la Palestina chiedono all’università di prendere una posizione netta di condanna rispetto al perpetrarsi della violazione dei diritti umani da parte del governo israeliano nei confronti della popolazione civile in Palestina e, in particolare, a Gaza.

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Quello che penso è che se tanti giovani hanno un’opinione chiara in merito a questi fatti può solo darci speranza che il futuro possa essere migliore, perlomeno del presente. Intendiamoci: fino al 7 ottobre scorso, della Questione palestinese non si parlava più. Forse nei libri di Storia contemporanea si dedicava un capitolo alla nascita dello Stato di Israele, ma per saperne di più dovevi essere davvero appassionato o avere qualche amico palestinese che ti illustrasse anche il rovescio della medaglia.

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In pochi mesi, questi giovani si sono fatti una cultura e un’opinione limpida, guidata da una semplice equazione: ci avete insegnato a ripudiare la violenza e a condannare gli orrori del passato, che siamo i paladini della libertà e della pace. Allora, così come abbiamo condannato Hamas per la violenza del 7 ottobre, condanniamo la violenza e la violazione dei diritti umani da parte di Israele che dura da allora e che ha prodotto le cifre disumane che tutti conosciamo.

Ma perché è importante l’intervento degli atenei? Secondo la mia opinione, è importante in primo luogo per una coerenza umana, civile e intellettuale, per l’equazione di cui sopra. Inoltre perché, alla vista di università rase al suolo, scuole attaccate con centinaia di rifugiati, donne e bambini al loro interno, professori e insegnanti uccisi, ma anche tanti giovani e bambini resi orfani o mutilati o tutte le cose insieme, è dovere degli accademici alzare la mano e dire: basta!

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In terzo luogo, e qui mi discosto dalla richiesta degli studenti: se è vero che la cultura ci rende migliori, allora è dovere degli atenei farsi avanti. Non per boicottare, ma per fare da ponte, coinvolgendo sia istituti e intellettuali palestinesi, sia quelli israeliani. Perché esistono intellettuali israeliani che ripudiano ciò che avviene in Palestina, e non da oggi. Il nostro ateneo ha intrapreso, da diversi anni, alcuni progetti condivisi con l’università di Betlemme, così come il Comune di Pavia è gemellato con il Comune della città di Betlemme. I rapporti con la Terrasanta non sono una novità per noi pavesi. Perchè non pensare alla nostra università come una capofila di altre che vogliano aprire un dialogo con l’obiettivo di esercitare una pressione costruttiva affinché questo orrore finisca e affinché i giovani di quei territori possano riprendere a sperare.

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Sono consapevole che la parola "dialogo" in questo periodo storico possa sembrare anacronistica. Oggi, c’è molta rabbia, odio, disperazione e morte. Tuttavia, è proprio in questi frangenti oscuri che dobbiamo agire con maggiore lucidità e lungimiranza affinché si arrivi a un cessate il fuoco permanente. Invito dunque il rettore e tutte le istituzioni accademiche a prendere una posizione coraggiosa e a farsi promotori di un ponte tra i popoli. Solo così potremo sperare in un futuro in cui i giovani di quei territori possano riprendere a studiare e a vivere una vita dignitosa e in pace. La pace deve ripartire dalle università che hanno il dovere di essere in prima linea in questa battaglia di civiltà.

*Sara Mustafa è una scrittrice italo – palestinese di Pavia

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