Il matrimonio non funziona più: ecco perché i giovani rifiutano le nozze
Il dato è questo: il Italia il “matrimonial rate” è tra i più bassi del mondo. Tradotto significa che i giovani da noi non si vogliono sposare. Come mai? E’ un problema o un segno dei tempi? Cos’è che li tiene lontani? Ne parla a Udine oggi l’avvocato Carlo Rimini, presentando il suo brillante lavoro Perché non ti sposi? Dialogando e divagando su famiglia e matrimonio con una ragazza su un treno, libro edito da Pacini Editore (150 pagine, 18 euro). L’evento organizzato dal Consiglio cittadino dell’Ordine degli Avvocati, si svolgerà in Sala Ajace oggi alle 17 e vedrà l’autore coinvolto in un dialogo con Raffaella Sartori, presidente dell’Ordine degli Avvocati di Udine.
Carlo Rimini è professore ordinario di Diritto privato a Milano e di Diritto di famiglia a Parma, avvocato e giornalista pubblicista. Collabora con il Corriere della Sera.
Professor Rimini, da dove nasce l’esigenza di diventare divulgatore?
«Domanda interessante. I giuristi sono considerati un po’ degli extraterrestri, persi nel mondo criptico delle norme. Loro non sentono l’esigenza della divulgazione. Io credo invece che sia una necessità, perché comprendere il diritto è una delle possibili chiavi di lettura dei legami contemporanei».
Da dove partiamo?
«Il fatto che i giovani non si sposino più non è detto che sia un problema. La storia del diritto è fatta di istituti giuridici che si inaridiscono. E poi non dobbiamo necessariamente pensare, come si diceva almeno fino al 1968, cioè per la maggior parte del Novecento, che il matrimonio sia un mattone fondante della nostra società, e come tale utile. Su questa cosa i giuristi hanno riflettuto per decenni. Oggi è un’idea superata. Direi che la società sopravvive benissimo anche senza matrimonio».
E dunque?
«Io penso che il matrimonio potrebbe essere utile proprio per quelli che non si sposano. Mi spiego: potrebbe essere utile alla famiglia, non alla società. Ai protagonisti. Perché il matrimonio, - questa è la tesi del mio libro e la dimostrazione che solo in Italia non accade - dovrebbe essere il telaio giuridico di sicurezze reciproche, cioè la compensazione degli sforzi che ciascuno fa a favore dell’interesse familiare comune. E non dobbiamo avere paura di dirlo».
Mi scusi, ma non è un discorso vecchio?
«No, non credo che sia così, perché non necessariamente, e le esperienze straniere ce lo insegnano, sono le donne che fanno sacrifici a favore della famiglia. Possiamo immaginare un modello moderno egualitario di famiglia in cui sia uomini che donne compiono sacrifici nell’interesse comune. La famiglia è un luogo in cui si condividono esperienze e risorse. È come una società in cui gli sforzi nell’interesse comune vanno riconosciuti e tutelati. Ecco perché c’è l’esigenza di una disciplina giuridica delle esperienze di vita».
Perché in Italia non è così?
«L’Italia è stata per molti anni molto più tradizionalista dei paesi a nord delle Alpi, dove c’era un’impostazione più laica della famiglia. Da noi il modello “dedizione e cura da parte della donna/ protezione anche economica da parte dell’uomo” è stato seguito fino alla rivoluzione culturale del ’68. Poi con la riforma del 1975 è stata sancita l’uguaglianza tra i coniugi. Dopo di ciò in realtà non abbiamo costruito un modello alternativo, cioè della famiglia come sinergia. Dunque, mentre gli altri hanno costruito modelli patrimoniali efficienti, ad esempio per garantire la ridistribuzione delle ricchezze, in Italia non è successo».
Perché i giovani dovrebbero sposarsi allora?
«La risposta da parte mia è che con la legge attuale hanno tutto sommato ragione».
Cosa si può fare?
«Le nostre leggi dovrebbero essere uniformi a quelle europee. Solo così i giovani avrebbero l’idea che sposarsi possa servire a qualcosa».
Qual è il Paese che ha le leggi migliori?
«Le leggi anglosassoni sono sicuramente più penetranti. I divorzi milionari nell’esperienza inglese e americana sono famosi. La legge molto più simile alla nostra, ma è molto meglio della nostra, è la legge francese. Noi abbiamo sicuramente la maglia nera».
Ultima domanda: lei è sposato?
«Sì con la stessa donna, e da trent’anni».