ATP Roma: è normale che i romani abbiano applaudito Nadal e fischiato Djokovic. Si sono battuti assai diversamente-
Come ho detto subito in un video uscito più tempestivamente di questo articolo – per registrare un video bastano pochi minuti e si può fare al volo – è impossibile per il vostro anziano cronista non rimanere sconcertato nell’assistere, nell’arco di 24 ore, alle disastrose performances di due leggendari campioni come Rafa Nadal e Nole Djokovic che hanno trionfato 16 volte al Foro Italico. Due miti, due fenomeni, che escono di scena già al loro secondo incontro, conquistando la miseria di 4 game lo spagnolo e di cinque game il serbo.
Punteggi umilianti che Rafa non aveva subito sulla sua amata terra rossa dal 2003 e Nole in un 1000 da Bercy 2007 (Santoro).
Nel comparare le due debacles mi pare si debba però sottolineare alcune sostanziali differenze.
Il netto k.o. patito da Nadal non può essere definito completamente sorprendente. Prima di tutto Rafa affrontava un top-ten piuttosto consolidato, il n.9 del mondo Hurcakz che, senza poter essere considerato uno specialista della terra battuta – soprattutto a Roma dove aveva perso per tre volte al primo turno negli ultimi tre anni – aveva pur sempre vinto quest’anno il torneo dell’Estoril.
Insomma, considerata la particolare storia di Rafa al rientro nel 2024 dopo un anno e mezzo di stop e le prime vicissitudini di questi primi 4 mesi traballanti, io ero sicuro che avrebbe perso, anche se pensavo che sarebbe stato in grado di difendersi un po’ meglio, più o meno come era riuscito a fare nei primi due game durati 28 minuti.
Ma, al di là della diversa prevedibilità dei due k.o., perché Djokovic fino a ieri mattina veniva generalmente considerato il favorito n.1 del torneo – anche per i bookmakers – nonostante le poco convincenti prove agonistiche mostrate in Australia, Indian Wells e Montecarlo, è stato il diverso comportamento dei due vecchi campioni nella sconfitta a suggerire un’analisi differente.
Nadal era imbufalito con se stesso per essersi scoperto peggiore di come si attendeva. Fino a sabato l’orgoglioso maiorchino non dubitava che, se il fisico non lo avesse nuovamente tradito, sarebbe tornato ad essere competitivo su buoni livelli. Magari non troppo presto, e davvero non sui migliori livelli del tempo che fu, ma tuttavia dando per scontati – lui e tutto il suo clan, manager, allenatore, p.r.- suoi progressi nella marcia d’avvicinamento al suo giardino di Porte d’Auteuil. Progressi che invece, stupendolo non poco, non ci sono invece stati. Anzi.
Sembra che soltanto adesso, dopo la disastrosa partita con Hurkacz, gli si sia insinuata nella testa, nella mente, il dubbio di una partecipazione al Roland Garros che fino a sabato scorso lui considerava assolutamente certa, tranne che nel caso in cui fosse spuntato qualche malaugurato nuovo infortunio.
I dubbi li avevano altri, tanti di noi, forse anche qualcuno del suo clan che non osava dirglielo, ma non lui. Ma, adesso le cose sono cambiate e non giurerei che Rafa scenderà in campo fra 15 giorni al primo Roland Garros. Per come l’abbiamo visto a Roma temo che Rafa perderebbe da 50 giocatori su 100. Mi immagino – anche se la voglia di mettersi in discussione sarebbe tanta, quasi insopprimibile – che sia più probabile che Rafa si provi a competere al secondo Roland Garros, quello olimpico. Ciò anche se più che lo spauracchio dei tre set su cinque e dei 7 incontri, in realtà Rafa oggi sembra più temere la condizione del suo proprio tennis, della mancata profondità dei propri colpi, della sua inconsueta irregolarità, che non della tenuta alla distanza, della resistenza.
Rafa oggi come oggi, non attribuisce i suoi errori ad un calo fisico, a una minor velocità di gambe e di riflessi – che pure parrebbero cose più che normali per un uomo vicino ai 38 anni – ma a una diversa predisposizione e concentrazione mentale, dovute principalmente – almeno secondo lui – alla lunga desuetudine agonistica.
Il caso di Djokovic, che ha perso da Tabilo che non aveva mai battuto un top-10 ed è il primo cileno dai tempi di Mano de Pedra Gonzalez al Masters di Shanghai 2007 a battere un n.1 del mondo, è diverso.
Nole non è reduce da quasi due anni di stop. E’ anzi reduce da un anno nel quale ha giocato quattro finali di Slam vincendone tre e perdendone una (Wimbledon con Alcaraz) al quinto set dopo aver mancato la trasformazione di una pallabreak che avrebbe potuto essere forse decisiva.
Un anno in cui, fino a che Jannik Sinner non lo ha “choccato” per 3 volte in 4 duelli, provocandogli quasi un trauma quando in Davis a Malaga gli annullò tre matchpoint di fila come non gli era mai accaduto, Novak Djokovic era sembrato per una decina di mesi un guerriero quasi invincibile, un extraterrestre.
Che cosa è dunque successo a Nole nel 2024 per trasformarlo in un tennista invece più “umano” e battibile?
Un uomo che in pochi mesi ha deciso di tagliare i ponti con tutto il suo team vincente per anni, a cominciare dalla coppia di manager Artaldi-Cappellaro, da coach Ivanisevic, dal preparatore atletico Marco Panichi, e che improvvisamente sembra aver scoperto priorità diverse da quelle sempre palesate, la famiglia, il riposo, gli Slam per i quali sente che valga la pena di continuare a impegnarsi a fondo… eccetera, eccetera.
Contro Tabilo, e senza nulla togliere al cileno che ha giocato probabilmente la miglior partita della sua carriera e non è certamente un tennista privo di grandi numeri, Nole è stato irriconoscibile.
Non ha lottato, non si è arrabbiato, non è stato attento quando serviva – perché lui che ha sempre fatto rimbalzare la palla 11/13 volte, e anche 17, prima di battere, sembrava avesse fretta e non solo non arrivava vicino ai 25 secondi, ma tirava via…4 rimbalzi e via – e nemmeno quando rispondeva.
In un battibaleno si è ritrovato sotto 4-0 e non ha avuto la banchè minima reazione nervosa. Non si è arrabbiato, non si è rivolto al proprio angolo, al nuovo coach Nenad Zimonjic, per magari insultarli come è stato uso fare per anni con Ivanisevic e gli altri innocenti della sua panchina, e sembrava che la palla sulle corde della sua racchetta gli scottasse. Era evidente proprio il suo rifiuto di allungare gli scambi, di lottare. Due, tre, massimo quattro colpi e palla corta, spesso lunga, così come attacchi improbabili, corti, incerti, assurdi.
E poi doppi falli, non solo sul matchpoint, ma anche – due consecutivi – sullo 0-0 30 pari del secondo set, subito dopo aver perso il primo 6-2.
Insomma io non so che cosa avesse. Per quanto lui possa essere ipocondriaco, in tutta onestà non posso credere che l’episodio “borraccia” abbia influenzato in modo minimamente decisivo la sua prestazione. Non ci credo proprio.
Ho sempre avuto grande ammirazione, e simpatia, sia per Rafa sia per Novak – come non averne per due fenomeni di questa fatta? – e penso che anche il pubblico romano condivida i miei stessi sentimenti, ma se Rafa è uscito dalla sua batosta fra migliaia di applausi convinti e Nole invece è stato sepolto dai fischi è perché i romani – ed io – hanno apprezzato la volontà di lottare di un Rafa impotente a far di più e si sono invece sentiti “maltrattati” e traditi da un Nole che invece non ha rispettato, la loro passione, i loro sacrifici per arrivare da tutt’Italia sopportando costi importanti (anche i biglietti carissimi rispetto a Madrid e Montecarlo), giocando un match indegno di lui, senza lottare, senza provarci. Io ho detto nel mio video che Djokovic questa volta, nonostante la sua splendida carriera quasi ventennale e così ricca di ineguagliabili successi, ha meritato i fischi che ha ricevuto.
Non erano fischi alla carriera. Erano fischi ad un personaggio irrispettoso, quel pomeriggio, nei loro confronti. Il pubblico che paga un biglietto salato ha il diritto di fischiare un artista che non si impegna.
E le parole dette da Novak in conferenza stampa, quando purtroppo noi giornalisti siamo stati tutti silenti e piatti, forse intimiditi dal suo trasparente malumore – come me ne sono pentito! – non hanno certamente contribuito ad assolvere né a giustificare la sua prestazione. C’era da chiedergli, con maggior tatto di come sintetizzo più brutalmente qui, perché avesse deciso di presentarsi a Roma se non aveva voglia di battersi. O quali fossero i motivi della sua evidente abulia. Probabilmente non ci avrebbe risposto, ma noi avremmo dovuto chiederglielo.
Si sarebbe potuto chiedergli anche se non ritenesse che presentarsi al Roland Garros dopo una serie di prove così poco convincenti lungo tutto questo 2024 privo di successi nei 4 tornei cui ha preso parte, non fosse diventato terribilmente più complicato. La fiducia nel tennis di chiunque, campioni compresi, è fondamentale per vincere.
Adesso Jannik Sinner ha molte chance di diventare n.1 del mondo, perfino se decide di non giocare Parigi!
Nole, campione uscente, deve difendere 2000 punti. Jannik – battuto al secondo turno da Altmaier un anno fa – ne difende soltanto 45. Ciò significa che nel momento in cui all’inizio del Roland Garros escono i punti di un anno fa, Sinner sarà n.1 virtuale con 865 punti di vantaggio su Djokovic. E se Djokovic, anche in caso di assenza di Jannik, non arriverà almeno in finale, dovrà scendere dal trono che occupa da 424 settimane. Mi piacerebbe che, se dovesse succedere di vedere Jannik sul trono del tennis, che questo accadesse a conclusione di un altro duello fra i due…
Certo che questo torneo romano sembra nato sotto una cattiva stella. Mentre agli ottavi di finale sono arrivati nella metà alta del tabellone 8 giocatori di otto nazioni diverse, dall’alto in basso, Tabilo (Cile), Khachanov (Russia), Zhang (Cina), Monteiro (Brasile), Zverev (Germania), Borges (Portogallo), Fritz (USA) e Dimitrov (Bulgaria) e purtroppo nessun italiano dopo le sconfitte domenicali di Darderi e Passaro, nell’altra metà siamo ancora a livello di terzo turno e l’unico nostro rappresentante è Stefano Napolitano che oggi incontra Jarry e spera di riuscire a vendicare Arnaldi.
Ma certo è che i ritiri di Sinner, Berrettini, Musetti hanno penalizzato pesantemente le nostre chance di ben figurare. Avere schierato una pattuglia corposa di 12 elementi non ha sortito l’effetto sperato.
Agli occhi degli appassionati, molti dei quali oggi certo delusi in rapporto alle aspettative di una quindicina di giorni fa – per non parlare di chi aveva comprato i biglietti in prevendita – il torneo potrebbe essere “salvato” da semifinali Tsitsipas-Rune (o Medvedev) e da una finale con Zverev contro uno di questi tre. Zverev e Medvedev sono i soli campioni di Roma (2017 il tedesco, 2023 il russo) ancora in lizza. Tutto molto aperto fra le donne, dove agli ottavi della metà bassa sono arrivate tenniste di sette diverse nazioni. Soltanto la Bielorussia, con Sabalenka e Azarenka, ha due rappresentanti. Nella prima metà ci sono ancora Swiatek, Gauff, Osaka, a garantire della qualità del torneo. Anche qui…nessuna italiana. Che tristezza.