Così Israele costringe allo sgombero i beduini palestinesi: demolite 47 case, cacciati in 300
Da oltre dieci anni le autorità israeliane ricorrono a numerosi pretesti per sgomberare e segregare le comunità beduine palestinesi della regione del Negev/Naqab; dall’ampliamento delle autostrade alla costruzione di zone industriali, dalla creazione di foreste per il Fondo nazionale ebraico alla designazione di zone a uso esclusivo militare.
L’ultimo atto è andato in scena l’8 maggio, quando sono state demolite 47 abitazioni del quartiere di Abu Aissa, nel villaggio non riconosciuto di Wadi al-Khalil.
I primi ordini di demolizione erano stati emessi dalle autorità di pianificazione israeliane nel 2019 per far posto all’estensione del percorso dell’autostrada 6 verso sud. Le demolizioni dell’8 maggio, le più numerose in un solo giorno dopo quelle di al-Araqib nel 2010, hanno lasciato senza alloggio oltre 300 abitanti.
Jabr Abu Assa, uno degli abitanti rimasti senza casa a Wadi al-Khalil, ha dichiarato ad Amnesty International:
“Non possiamo fermare questo piano; l’autostrada 6 passerebbe sopra i nostri corpi indipendentemente da quanto resistiamo, quindi abbiamo chiesto alle autorità un’alternativa equa e giusta per trasferirci in un luogo dove possiamo vivere in pace e dignità, nel quartiere di Mtalla a Tall al-Sabe’. Tuttavia, l’unica opzione che ci è stata data è quella di trasferirci in un quartiere del vicino villaggio di Um al-Batin, dove i residenti locali hanno già detto di non avere spazio per noi e che non siamo i benvenuti; questo significa metterci contro di loro. Significa costringere noi e loro a lottare per le scarse risorse che sono appena sufficienti per loro”.
Jabr Abu Assa ha aggiunto che né lui né gli altri residenti le cui case e altre strutture sono state demolite hanno ricevuto alcuna forma di risarcimento.
Il 31 dicembre 2023 la Corte suprema israeliana aveva respinto l’ultimo appello dei residenti di Wadi Al-Khalil contro il loro trasferimento forzato a Umm al-Batin, permettendo così all’Autorità beduina per lo sviluppo e l’insediamento del Negev, un ente governativo che da tempo serve a consolidare il dominio e l’oppressione della comunità beduina, di decidere dove trasferire i residenti.
Hussein al-Rabaya’a, un attivista della comunità del Negev/Naqab, ha aggiunto:
“Qui non hai scelta: ti negano il riconoscimento poi decidono di spostarti, decidono dove andare e se protesti e chiedi un’alternativa equa, dicono che non spetta a te decidere il tuo destino”.
Queste le parole di un altro abitante sgomberato:
“Non sappiamo dove andare: non possiamo trasferirci a Umm al-Batin perché lì siamo indesiderati. Faremo quello che hanno fatto quelli di al-Araqib: monteremo una tenda sulle rovine delle nostre case demolite, non abbiamo altra scelta”.
Le demolizioni a Wadi al-Khalil sono state eseguite meno di un anno dopo che la Corte distrettuale israeliana aveva approvato lo sgombero forzato del villaggio non riconosciuto di Ras Jrabah per far posto all’espansione della vicina città ebraica di Dimona. Gli abitanti di Ras Jrabah sono tuttora impegnati in una battaglia legale contro la demolizione del loro villaggio.
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