“Come mai Baby Reindeer ci tiene davanti alla tv?”: Stephen King recensisce la serie del momento
Da giorni leggo recensioni di Baby Reindeer, la serie Netflix uscita senza troppo strombazzare e diventata presto la più vista sulla piattaforma. Molte recensioni, quasi tutte evitabilissime. Poi arriva Stephen King che su Twitter scrive: “Ho pubblicato una recensione su Baby Reindeer sul Times. Non posso credere che mi abbiano pagato per scrivere di una serie così bella, ma l’hanno fatto. Naturalmente, io pago l’abbonamento a Netflix“, le parole dello scrittore nato a Portland che si è definito “l’equivalente letterario di un Big Mac con patatine“. Scrivi almeno cinque capolavori e ti definisci così: quando sei vicino alla divinità?
Dunque abbiamo il privilegio di una recensione scritta da King sulla serie del momento. Menomale che fino a oggi non avevo approcciato la faccenda! Mi capita quasi sempre di tergiversare quando rischio di finire risucchiata nel fiume dell’hype, affogandoci dentro.
Perché Stephen King è il miglior ‘recensore’ possibile di Baby Reindeer? Perché esiste Misery. Il parallelismo tra le due storie è chiaro per chi conosce entrambe. Lo scrive lo stesso King usando come incipit della recensione sul Times un espediente narrativo (o forse raccontando una cosa che gli è successa davvero, che ne sappiamo noi).
Lui, King, entra in un negozio. Il commesso gli chiede se abbia visto Baby Rendeer. Lui dice di no e chiede di cosa si tratti. L’uomo gli risponde che è una fiction che fa sembrare Misery – sia il libro che il film – un cartone animato”. Boom. È vero? Manco per idea. Lo so io e lo sa King che infatti continua il suo pezzo sul Times così: “Il mio primo pensiero è stato quello di ringraziare il cielo che il mio romanzo sia arrivato per primo, altrimenti la gente avrebbe pensato che l’avessi rubato a Richard Gadd, che ha scritto e prodotto la serie di sette episodi e ne è anche il protagonista. Il secondo pensiero è stato che Donny Dunn (Gadd) assomiglia per davvero a un cucciolo di renna, con i suoi occhi grandi e i suoi modi impacciati”. Certo sì, Baby Reindeer significa ‘cucciolo di renna’ ed il soprannome dato a Dunny, il protagonista della serie, dalla sua stalker, Martha. Come si conoscono i due? Lei entra nel pub dove lavora lui. Lui la guarda con un misto tra pena e disgusto fin dal primo istante e sempre fin dal primo istante ne è in qualche modo attratto. Le offre una tazza di tè. E inizia tutto.
Secondo l’autore di It, Shining, Carrie, Pet Sematary e appunto Misery (…), il tratto principale del comportamento di Donny – basista di giorno e comico senza successo di sera – e l’esitazione: “Questo ragazzo fa sembrare Amleto un venditore di automobili esagitato (…). Poi arriva Martha Scott (Jessica Gunning), che un giorno compare nel pub dove lavora Donny. È un’entrata in scena che non ha nulla da invidiare alla presentazione (“sono la tua fan numero uno”) di Annie Wilkes di Misery“. Ricordate cosa fa Anna al suo scrittore preferito, Paul Sheldon, in Misery? No? Rileggerlo va sempre bene.
Ma perché – in molti lo hanno scritto sui social – Baby Reindeer, piaccia o no, ti tiene ‘legato’ davanti alla tv? I punti d’oro secondo King sono diversi. Intanto, “in meno di due minuti ci viene svelata la natura dei due personaggi centrali. Entrambi sono psicologicamente fragili ma è Martha a essere mentalmente instabile e manipolatrice. Donny, nonostante gli occhietti speranzosi che sembrano dire continuamente ‘non farmi del male’, ha l’insolita e piuttosto eroica capacità di vedere dentro se stesso“. Ancora, lo scrittore del Maine definisce il monologo di Donny nel penultimo episodio (“quando mette da parte lo scudo della comicità e racconta al pubblico cosa gli è successo, compresi i dettagli dolorosi e dettagliati dell’essere stato stuprato da un uomo”) “una delle cose migliori viste in tv (e anche al cinema)“.
Lo stalking come base narrativa in Misery e in Baby Reindeer. Ma “la differenza tra Paul Sheldon (Misery) e Donny Dunn è in qualche modo fisica, perché Sheldon è stato gravemente ferito in un incidente stradale. Non offre ad Annie una tazza di tè, anzi probabilmente le rivolgerebbe solo un’occhiata di sfuggita se si presentasse in fila per un autografo. Donny, invece, invita il diavolo ad entrare, anche se inconsapevolmente. Quella tazza di tè è solo l’inizio. Anche dopo aver scoperto quanto Martha sia mentalmente instabile (Donny non è la sua prima vittima), non riesce a staccarsi da lei”.
Un lavoro di comparazione che meglio dell’autore del capolavoro uscito l’8 giugno del 1987 non poteva fare proprio nessuno. King chiude il pezzo sul Times parlando del “grande pregio – qui gioca con le parole ‘gift‘ e ‘trick‘ – di Baby Reindeer: alla fine arriviamo a capire perché Donny ci metta così tanto a denunciare gli abusi subiti (…): in cuor suo, Donny crede di meritarselo. Proviamo empatia per lui e non impazienza. E arriviamo a provare empatia anche per Martha”. Così è. L’empatia per ‘la carnefice’ (totalmente assente in Misery, sia da parte del lettore che del protagonista) e la difficile dinamica tra i personaggi principali, entrambi fragili dal punto di vista mentale, danno vita a un intreccio così complesso difficilissimo da raccontare. Più ancora, da recensire. A meno che tu non sia Stephen King.
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