Marghera, in 500 da tutto il Veneto contro le guerre
«Cento operai in ogni officina, aspettano il suono della sirena, rimbomba la fabbrica di macchine e motori, più forte il silenzio di mille lavoratori». Sulle note di Stalingrado degli Stormy Six, i manifestanti arrivati a Marghera da ogni parte della regione per ribadire il loro no alle guerre vengono accolti a piazzale Giovannacci.
La chiamata alla mobilitazione è arrivata dal Comitato permanente contro le guerre e il razzismo di Marghera, l’adesione è stata collettiva: dai Giovani Palestinesi all’Unione sindacale di base (Usb), ma anche il Fronte della gioventù comunista, il Partito comunista dei lavoratori, Cobas e l’associazione dei Lavoratori sanitari per Gaza.
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Agitano le bandiere rosse, ma anche quelle palestinesi, qualcuno si appende al collo o allo zaino quella della pace, come un mantello capace di dare poteri speciali. Cantano nell’attesa, gridano gli slogan al momento della partenza, i megafoni in mano alle tante giovani alla guida dei loro gruppi con gli occhi accesi e l’espressione arrabbiata di chi vuole urlare con tutta la propria voce il dissenso rispetto alle politiche del governo e a quelle internazionali.
«Siamo qua per dire che è assurdo che dopo i massacri del passato, il mondo se ne stia ancora lì a guardare» spiegano i Giovani Palestinesi, «i popoli devono prendere in mano la storia e lottare. La guerra passa anche dalle università, dai governi che quando protestiamo invocano leggi e democrazia, ma non lo fanno quando si tratta di mandare armi e far rispettare i diritti dei lavoratori».
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Due pesi, due misure, lo ribadisce anche l’associazione dei Lavoratori sanitari per Gaza: «Vorremmo fare di più, come portare qua i pazienti da Gaza, ma è estremamente complicato. Perché invece gli ucraini sono arrivati più velocemente?» chiedono, sapendo in cuor loro la risposta, che esplicitano qualche secondo dopo: «perché sono più facili da far integrare». Il colore della pelle, dicono, crea guerre e vittime di serie a e di serie b.
Pietro Basso del Comitato permanente, precisa come la manifestazione sia «contro tutte le guerre, in Medio Oriente come in Ucraina. Contro la Nato e l’economia di guerra, in cui la spesa dello Stato sarà orientata sempre più al riarmo a discapito del sociale, della scuola e della sanità». Anche per questo, il corteo formato da cinquecento persone ha avuto come tappa finale la Fincantieri, «che ha come principale settore produttivo quello bellico, d’altronde anche alla recente inaugurazione di una nave da turismo si è parlato di navi da guerra» continua Basso. Qui, il corteo è terminato con il rogo della bandiera della Nato.
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Il sole di mezzogiorno fa brillare gli striscioni, i cori non diminuiscono, dai «free free Palestine» a «i morti sul lavoro gridano vendetta, Confindustria che tu sia maledetta» fino ai «si arricchisce solo il padrone, lottiamo uniti contro l’oppressore». I diversi bambini presenti guardano con gli occhi meravigliati il gioco di bandiere che sventolano verso il cielo, i colori che si confondono, la mano in quella dei genitori, che manifestano anche per loro.