Il calice del diacono Orso torna a Lamon la copia consegnata a don Ivone
Nel giorno dell’amministrazione delle cresime, il vescovo Renato Marangoni è salito sull’altopiano con un duplice obiettivo, fare la confermazione e consegnare la copia uguale al Calice del diacono Orso a disposizione dell’arcipretale e del sacerdote don Ivone Cavraro che ne farà uso nelle occasioni liturgiche più importanti.
«L’esordio della bellissima copia che riproduce l’antico reperto custodito con tutti i criteri di sicurezza al museo Diocesano di Feltre è avvenuto dalle mani del nostro vescovo, com’è giusto che fosse dal momento che amministrava anche le cresime dei ragazzi», spiega don Ivone Cavraro.
Tutti i fedeli lamonesi riuniti per la cerimonia e tutti i cittadini di questo paese sanno naturalmente che si tratta di una copia, realizzata in maniera perfetta.
La seconda, su volere del presule, è custodita nella cattedrale di Belluno. Il pezzo originale, invece, che viene fatto risalire al 500 dopo Cristo, per 150 anni, dal momento della scoperta avvenuta nel 1836 in zona San Donato ai confini con il Trentino, è stato ceduto in prestito al museo diocesano una volta che l’edificio si è reso pronto ad accogliere e valorizzare tutte le reliquie.
«Il 25 aprile, giorno delle cresime, durante l’Offertorio l’alpino più anziano del paese, Renato Conte che ha compiuto 90 anni, l’ha messo nelle mani del vescovo, creando un momento di intensa emozione.
Il presule lo ha posizionato sull’altare per la benedizione e per le ritualità che ne sono conseguite», continua don Ivone.
Accanto all’altare è installata una patena, di misure proporzionate alle diametro del calice. «Sarà utilizzato nelle occasioni più belle come Pasqua, Natale e la festa dei patroni delle tre parrocchie, Lamon, San Donato e Arina», conclude don Ivone.
L’annuncio che sarebbe arrivata la copia identica all’originale era stata fatta proprio dal parroco alla messa di Natale.
«Nonostante l’antichissimo reperto faccia parte del nostro territorio, sarebbe impensabile poterne fare l’uso per cui è stato realizzato perché il calice non può essere esposto a rischi, dopo che è miracolosamente sopravvissuto a millenni di intemperie e insulti del tempo».
Venne scoperto in modo rocambolesco nel 1836 per opera di Pietro Piasente nel territorio della parrocchia di San Donato e recuperato da un burrone.
Ma l’annuncio al mondo della scoperta avvenne soltanto nel 1875 ad opera di Jacopo Facen che aveva capito di avere di fronte una rarità assoluta, senza prezzo.
È in argento ed è piuttosto grande, ha infatti la capacità di un litro e mezzo e pesa circa 320 grammi. Nel corso del Novecento ha rischiato più di una volta di essere rubato, come durante l’invasione austroungarica del 1917.
Venne nascosto nel camino di una cantina che fu murato. Altro rischio lo corse durante la seconda guerra mondiale: in quella occasione venne nascosto nella cornice della statua di Sant’Antonio esposta nella chiesa di San Daniele, allora chiesa parrocchiale di Lamon.
I trentini, considerato che il ritrovamento avvenne su territorio loro, alzarono addirittura il tiro per acquistarlo. L’allora parroco monsignor Antonio Slongo vi si oppose in maniera definitiva facendone un patrimonio di Lamon