Lavoro, come cambiano i criteri di scelta di chi è in cerca di occupazione
Si festeggiano, si celebrano e si ringraziano: sono i lavoratori ai quali è dedicata la festa del I maggio. Eppure non sempre si ascoltano e si comprendono, ragion per cui, a volte si rimane spiazzati quando, credendo di avere soddisfatto le loro aspettative, ci si ritrova con in mano una lettera di dimissioni. A fare luce, attraverso il proprio osservatorio sul mercato del lavoro, è Guru Jobs, società di selezione specializzata nelle ricerca di personale per le PMI, che ha rilasciato in occasione della festa dei lavoratori i risultati del primo trimestre del 2024, ottenuti da un’indagine condotta su oltre 44mila richieste di occupazione.
La maggior parte dei curriculum (il 53%) è arrivato da uomini per lo più in una fascia di età compresa tra i 24 e i 35 anni, mentre il restante 47% è ascrivibile a donne, coetanee, che sono in cerca di occupazione. I settori in cui le persone cercano maggiormente un impiego sono la produzione e i servizi, seguiti dalla ristorazione, l’healthcare e il commercio al dettaglio. Va da sé che l’ambito in cui operano prevalentemente, e quindi quello che risente maggiormente del turnover, è quello della vendita (16,16%): sia che si tratti di commerciali veri e propri che di commessi. Con meno di un punto percentuale di distacco (15,8%) si colloca la produzione, seduta dal segretariato (12,79%), l’amministrativo e la ristorazione.In ogni caso, a muovere uomini e donne nella ricerca di una nuova occupazione non è, come verrebbe spesso da pensare, una ragione economica che è seconda nella classifica delle ragioni per cui, a un certo punto, si decide di andarsene da un posto di lavoro. La motivazione che spinge al cambiamento è la possibilità di crescita personale che ottiene, per entrambi i sessi più del 23% dei voti. La possibilità di crescita economica, invece, è preponderante per il 17% degli uomini e il 14,5% delle donne.Le differenze più sostanzialità uomini e donne arrivano nel momento in cui sul tavolo ci sono gli orari di lavoro, che rappresentano la ragione del cambiamento per il 3% degli uomini e di quasi il 6% delle donne: il doppio. Più simile la percentuale che riguarda la necessità di avvicinarsi a casa, che per gli uomini è del 4,09 % e per le donne del 4,34.
Alla luce di questi ultimi dati emerge con chiarezza come la flessibilità oraria rappresenti un requisito più importante per le donne sulle quali, ancora oggi, grava per lo più la responsabilità della gestione familiare e domestica a fronte della quale sono anche disposte a chiudere un occhio sul fattore della retribuzione economica.Nessuna deroga, invece, per entrambi i sessi quando si tratta di possibilità di crescita personale e professionale all’interno dell’azienda in cui si lavora: motivo quest’ultimo che dovrebbe invitare gli imprenditori a un riflessione quando vengono colti impreparati dallo scontento del loro personale. “Non sempre questo scontento è il risultato di un fattore economico - commentano Samantha Marzullo e Nina Iacuzzo, socie fondatrici di Guru Jobs -, più spesso lo è di una mancanza di stimoli e motivazione, ai quali è possibile ovviare offrendo non tanto (o non solo) un aumento, ma un obiettivo di crescita, una sfida capace di riaccendere l’entusiasmo dei collaboratori”.
Indagine sui lavoratori 1° Maggio 2024 Istituto Piepoli per UGL
Ricerca su popolazione e lavoratori, a cura dell’Istituto Piepoli per il Sindacato UGL, sul tema della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e sull’adeguatezza della retribuzione
Articolo 46 della Costituzione italiana: conoscenza e interesse
“Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”.
È quanto sancisce l’articolo 46 della Costituzione italiana e così è stato presentato agli individui coinvolti nella ricerca per sondarne il livello di conoscenza.
Questo articolo risulta molto poco conosciuto dalla popolazione - il 76% della popolazione italiana non lo ha mai sentito nominare - e anche dagli stessi lavoratori – il 38% di chi lavora lo conosce, il 62% no.
Eppure, una volta spiegato, l’articolo risveglia l’interesse presso molti, lavoratori e non: il 75% della popolazione e il 77% dei lavoratori lo trova importante.
Si è di fatto raccontato che questo articolo stabilisce il diritto dei lavoratori alla partecipazione alla gestione delle imprese. Partecipare allo scambio di informazioni aziendali, alla governance con una parte dei rappresentanti dei lavoratori, agli utili dell’impresa, al possesso di azioni delle aziende quotate.
Tuttavia, nonostante ciò, i lavoratori fanno fatica a realizzarne la piena applicabilità nel posto di lavoro: il 21% dei lavoratori sarebbe molto favorevole all’attuazione dell’articolo, il 27% contrario. Si prefigura poi una partenza in ‘punta di piedi’, iniziando dalla partecipazione a livello informativo (39%), poi da quella economica (25%), organizzativa (20%) e, da ultimo, dalla partecipazione finanziaria (16%).
L’articolo è dunque un concetto da spiegare bene, ma soprattutto da valorizzare nella sua portata pratica e da declinare nei suoi vantaggi concreti per il lavoratore: la percentuale dei favorevoli alla sua applicabilità passa, infatti, dal 21% del totale dei lavoratori al 35% tra chi lo conosce già, mentre quella dei riluttanti scende dal 27% all’8% tra i conoscitori.
Un altro tema indagato dalla ricerca, anche in questo caso in ottica di coinvolgimento e partecipazione, è stato quello della sicurezza nei luoghi di lavoro.
Agli intervistati sono stati presentati dati ufficiali, pubblici e molto diretti sul tema della sicurezza.
“In Italia la media degli infortuni sul lavoro è questa: un ferito al minuto, un morto ogni otto ore, in media, quindi, 3 morti al giorno sul luogo di lavoro”.
Ancora pochi sono pienamente consapevoli dei dati reali e della rilevanza drammatica degli infortuni sul lavoro, anche tra gli stessi lavoratori: il 61% della popolazione e il 49% dei lavoratori non erano a conoscenza di questi dati.
A ben vedere, la potenza di questo fenomeno si scarica tutta sul livello di preoccupazione. Sensibilizzati sulla tematica, praticamente tutti dichiarano la propria apprensione in merito: fortissima per più di un lavoratore su due (57%), forte per tutti gli altri. Un tema che, se compreso nella sua portata, coinvolge quindi in modo massivo e massiccio tutti gli individui.
La maggioranza dei lavoratori si sente, tuttavia, abbastanza confidente rispetto all’attenzione sulla sicurezza prestata nel luogo dove lavora: il 26% la ritiene positiva, il 57% abbastanza soddisfacente. Tuttavia, il 17% dei lavoratori esprime la propria sfiducia su questo aspetto e questa situazione raggiunge picchi molto più alti presso le categorie più coinvolte: il 55% degli operai, di fatto, valuta negativamente l’attenzione prestata dalla propria azienda ai temi della sicurezza sul lavoro.
La questione è talmente rilevante che la volontà di contribuire in modo positivo e attivo al miglioramento dello stato attuale delle condizioni della sicurezza sul lavoro è molto alta: un lavoratore su due (49%) dichiara che potrebbe certamente fare qualcosa in più/qualcosa di diverso per aumentare/migliorare lo status quo.
Questa presa di posizione orientata a un coinvolgimento personale risulta dunque un terreno fertile per favorire l’adozione di pratiche più sicure, investire sulla formazione e sull’addestramento dei lavoratori, valorizzare le best practice, incrementare la comunicazione sul tema.
Retribuzione
Per più di un lavoratore su due (il 58%) la retribuzione attuale è percepita inadeguata alla propria mansione/anzianità di servizio. La percezione negativa sale ulteriormente presso i lavoratori dipendenti: tocca il 65% degli impiegati, per arrivare al 75% tra gli operai.
Ancora più critica la percezione sull’andamento del potere d’acquisto degli ultimi anni: in questo caso, quasi il 70% degli individui accusa una perdita del proprio potere d’acquisto.
La criticità si conferma presso i lavoratori dipendenti (76%) e soprattutto tra gli operai (87%).
La situazione pone i cittadini di fronte a delle rinunce.
Prima di tutto si cominciano a sacrificare le spese accessorie, ancorché legittime: rinunciare a fare una vacanza è la prima scelta di chi accusa una riduzione del suo potere d’acquisto.
Poi si decide di non comprare un’auto e, messi alle strette, anche a non investire per i figli, acquistare una casa, fino ad arrivare alla rinuncia di cose fondamentali come il diritto alla salute: il 15% rinuncia alle spese per visite mediche/cure sanitarie, dato che sale al 40% tra i pensionati andando ad intaccare una delle categorie di persone teoricamente più bisognosa di queste attività.
Una difficoltà che va dunque ad aggiungersi ad altre difficoltà.