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Cecchinato si dà un ultimatum: “Se non chiudo il 2025 in top 200 mi ritiro dal tennis”

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“Devo assolutamente chiudere il 2025 in top 100. Io ci credo, voglio tornare lassù. Altrimenti, stacco la spina. Determinato, fiducioso, lapidario. Marco Cecchinato ha condiviso queste parole in un’intervista concessa a Palermo Today. L’attuale numero 375 ATP ha spaziato tra diversi temi: dalle sue origini al percorso per diventare professionista; dal successo alla parabola discendente più recente. Sino alla sua attuale situazione di tennista e persona, dopo un 2024 che lui stesso ha definito come l’anno più difficile della mia carriera.

‘Ceck’ attualmente vive a Brescia, ha 32 anni e si sta riprendendo da un infortunio che lo ha obbligato a chiudere la stagione a fine agosto, in disparte da ciò che stava accadendo in primo piano a New York, con lo US Open. Mi sto allenando duro, voglio risalire” – le prime parole dell’intervista, che ha cercato di costruire un ritratto cronologico della vita del tennista siciliano.

Nato e cresciuto vicino allo Stadio Renzo Barbera di Palermo – squadra da lui supportata insieme al Milan -, l’atleta azzurro segue da sempre il calcio e si definisce un fanatico. Quando può non si tira indietro dall’andare a supportare dal vivo il Palermo. La nostalgia, però, è tanta quando inizia a parlare della sua terra. “Di Palermo mi manca la famiglia, l’affetto, il calore, l’ospitalità, il cibo, il mare e uscire in centro con gli amici. Ho trascorso una bellissima infanzia. Là tutti mi vogliono bene”.

Nel capoluogo siciliano i primi passi da bambino, ma anche quelli in un campo da tennis. Le prime volte con la racchetta in mano sono state con mio zio Gabriele Palpacelli e con Fabio Cocco. Nel 2000, a otto anni, ho cambiato circolo e sono andato in un’accademia nella quale sono rimasto fino ai 17 anni. Riguardo le scuole, ho iniziato con il liceo e poi ho frequentato la ragioneria. Mi allenavo ogni giorno e spesso facevo assenze”.

Come anticipato, la svolta è arrivata a 17 anni e lo ha catapultato dal suo amato sud al (quasi) estremo nord Italia. Mi sono trasferito a Caldaro, vicino a Bolzano, sotto consiglio di mio cugino Francesco Palpacelli che mi è sempre stato vicino. Lui conosceva Max Sartori e lì ho trovato Andreas Seppi. Là sono cresciuto tantissimo e sono stato allenato da vari allenatori, tra cui Simone Vagnozzi (attuale coach di Jannik Sinner, ndr) con il quale ho raggiunto il mio best ranking di numero 16 ATP, per poi tornare con Sartori.

Quest’ultimo, per il siciliano, è stato un vero e proprio punto di riferimento e insieme a Ceck e a Seppi hanno girato il mondo in quegli anni. Andreas era molto diffidente all’inizio, poi ci siamo conosciuti e siamo diventati grandi amici. Condividendo lo stesso allenatore per tre anni, si è creato tra di noi un forte rapporto. Lui era uno dei miei idoli: infatti, averlo sconfitto nella semifinale del 250 di Budapest nel 2018 è stato un momento davvero bellissimo”.

Riavvolgendo però il nastro, le prime apparizioni nel circuito risalgono al 2010. Nel 2012 ecco il primo titolo ITF e la wild card per le qualificazioni del 1000 di Roma. Poi il 2013 con il primo tabellone principale di un torneo ATP (a Nizza, sconfitto da Fabio Fognini in tre set) e il primo titolo Challenger: a San Marino, sconfiggendo in finale in due set l’attuale ct della nazionale azzurra, Filippo Volandri. In seguito, il 2014 con le prime presenze nei tabelloni cadetti degli Slam e la wild card per il tabellone principale degli Internazionali a Roma.

“Nel 2015, finalmente, l’ingresso in top 100 e l’esordio nel tabellone principale di uno Slam, a New York. Fui sconfitto da Mardy Fish (in quattro set, il primo lo vinse Cecchinato, ndr), ex 7 al mondo e già numero 1 d’America”. Il 2016 è l’anno del primo quarto di finale ATP, nel 250 di Bucarest – sconfitto da Federico Delbonis con un duplice 6-2 – che in futuro gli avrebbe regalato enormi soddisfazioni. Il 2017 è un anno di transizione, nel quale il siciliano si è sentito dire spesso di essere solo un animale da Challenger. E poi, quel 2018 indimenticabile.

“Arrivarono quelle due splendide settimane a Parigi (prima del 2018 non aveva ancora vinto un match nel tabellone principale di quel torneo, ndr). Intanto, non posso non ricordare il primo turno. Becco il rumeno Marius Copil e perdo i primi due set. Una partita incredibile, una lotta pazzesca. Al secondo turno trovo Marco Trungelliti, poi Pablo Carreno Busta, contro il quale perdo il primo ma vinco in quattro set.

In quel momento lo spagnolo era numero 11 al mondo, l’azzurro 72. Le sorprese, però, non finirono lì come sappiamo tutti. Agli ottavi batto un altro big, David Goffin (n.9 ATP, quella rimane l’unica vittoria di Ceck in carriera su un top 10, ndr) e vado ai quarti dove trovo Novak Djokovic. Quello è stato il punto più alto della mia carriera. Vittoria in quattro set (6-3 7-6 1-6 7-6, ndr), con due tie-break, l’ultimo interminabile. A fine match, nel momento della stretta di mano, mi ha abbracciato e mi ha detto che avevo fatto una partita incredibile. Non dimenticherò mai quelle parole. In semifinale poi ho sfidato Dominic Thiem che era lanciatissimo. Peccato perché i primi due set sono stati molto tirati (7-5 7-6 6-1 in favore dell’austriaco, ndr). Ho giocato bene ma non è bastato. Nel secondo ho avuto pure due set point”.

Già ad aprile di quell’anno il tennista italiano aveva dato sfoggio delle sue abilità sul rosso, vincendo il primo titolo ATP a Bucarest, per giunta come lucky loser. Poi, la conferma a Parigi e in seguito la prova del nove (superata) a Umago, con il secondo trofeo ATP. A inizio 2019 ecco il terzo sigillo nel 250 di Buenos Aires, dove annichilì il beniamino di casa Diego Schwartzman – allora numero 19 ATP e osso duro sui campi in terra rossa – lasciandogli la miseria di tre giochi, mettendosi quindi in tasca la coppa senza perdere set in quell’evento. Quello è il momento del best ranking, al numero 16.

Di lì in avanti, una lenta involuzione che lo ha portato sempre più verso le retrovie del tennis che conta. Dovevo allenarmi tanto, forse c’è stata un po’ di pigrizia. Avevo raggiunto un livello troppo alto e a quel punto forse potevo chiamare un super coach come Max Sartori. Lui mi avrebbe aiutato nella gestione di quei momenti. Ero arrivato nei primi posti del ranking mondiale e avevo tante, troppe pressioni. A quei livelli, appena c’è un momento in cui non sei al top, scendi giù. Sentivo molto le pressioni e le critiche che arrivavano quando perdevo un match. Non è facile. Infatti, ammiro moltissimo Sinner per come gestisce la pressione, è un mostro”.

Dopo un 2023 giocato in gran parte ancora a livello ATP, ma terminato anzitempo verso la fine di agosto-inizio di settembre, Cecchinato ha navigato tra i Challenger nel 2024. Raccogliendo, però, poche soddisfazioni. Per lui, 26 vittorie e 25 sconfitte, con le uniche apparizioni nel circuito maggiore nelle quali dell’Australian Open – sconfitto in 51 minuti da Hamad Medjedovic – e sempre nel tabellone cadetto di due ATP 250 in Sud America (lì un successo e due sconfitte). Poi, come detto, lo stop a fine agosto per l’infortunio al gomito.

Il mio obiettivo è fare il tennista per altri quattro-cinque anni. Il 2025 sarà la stagione più importante. Se non ritorno a fine anno in top 200, posizione che mi garantirebbe di partecipare alle qualificazioni dell’Australian Open 2026, smetto con il tennis. A gennaio, per la prima volta in 11 anni, non andrò in Australia” – le parole di Cecchinato, che ha speso qualche parola anche per questo 2024.

Quest’anno ho girato tanto per il mondo: Australia, Thailandia, Macedonia, Sud America. Ho fatto tanta fatica. Non è facile, mi pesa molto. Ho sempre giocato a tennis per stare nei primi 100 e questa situazione è complicata da gestire. Adesso mi sto rimettendo in gioco. La chiosa dell’intervista ritrae alla perfezione l’attuale mondo interno del tennista siciliano, motivato più che mai a ritornare nelle fasce alte di quel tennis italiano che nel 2024 ha conquistato il mondo. Adesso devo chiudere. Sai, devo entrare in campo, ho allenamento. Ci tengo molto.