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Nel Regno Unito è crisi immobiliare

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I prezzi degli immobili sono ormai fuori controllo, i senzatetto invadono le strade e la caccia a un appartamento è impossibile anche per gli studenti stranieri. Ma il governo non ha soluzioni immediate.

Case, disperatamente, cercansi. Non con la piscina riscaldata o altre amenità. Semplicemente un tetto sulla testa che non sia transitorio, una stanza che non costi un occhio della testa, un posto degno di venir chiamato home. Mai nella sua storia il Regno Unito ha vissuto una crisi abitativa come quella attuale. Il numero dei senzatetto nel Paese ha raggiunto livelli record. Secondo le ultime stime (marzo 2024) del ministero per la Casa, le Comunità e le Autorità locali, solo in Inghilterra sono più di 300 mila le persone che non hanno una dimora fissa e la percentuale di popolazione che passa la notte all’addiaccio è cresciuta dall’1,978 del 2010 al 3,898 del 2024, un incremento del 120 per cento. Tutti calcoli al ribasso. Impossibile misurare esattamente un fenomeno che per definizione sfugge ai conteggi ufficiali, ma più ancora delle cifre parlano le cronache, le manifestazioni degli inquilini sfrattati e quelle degli studenti internazionali che sempre più spesso non riescono a permettersi un alloggio decente.

In agosto, un reportage della Bbc ha diffuso le immagini di una tendopoli sorta nel cuore di Londra: lungo Park Lane, nel lussuoso quartiere di Mayfair, tra Hyde Park e Marble Arch, sullo spazio erboso visibile dalle ville miliardarie di fronte. Quando i giornalisti della televisione sono andati a verificare che cosa succedeva hanno contato 24 tende con gente seduta ai tavolini, che si godeva i pochi sprazzi di sole di un’estate avara. Qualcuno preparava il tè sui fornelli a gas, qualcun altro giocava a carte. C’erano materassi e uno stendino da biancheria appoggiato in un angolo, taniche di acqua fresca per lavarsi conservate nei carrelli della spesa sottratti ai vicini supermercati, cibo per tutti preparato grazie alle donazioni della gente e delle associazioni.

Un campeggio «esclusivo», se si pensa che l’hotel Dorchester, letteralmente a due passi, offre camere da mille euro a notte. Subito dopo il reportage dei media, che ha fatto il giro del mondo, l’Authority per i Trasporti di Londra, incaricata di gestire l’area, ha dichiarato di non essere mai stata a conoscenza della sua esistenza comunicando di aver intrapreso le vie legali per farli sgomberare. Peccato che i primi video sul campo di Park Lane siano presenti su YouTube da almeno tre anni e, a quanto sembra, la tendopoli sia lì da almeno sette anni. Anche se venisse del tutto eliminata per la gioia delle concessionarie di auto di lusso che affollano la via, altre ne esistono già e nuove ne sorgeranno, nella capitale che ha il più alto numero di senzatetto di tutta l’Inghilterra sebbene il sindaco Sadiq Khan abbia fatto costruire, dal 2018 in poi, più del doppio delle abitazioni popolari di tutte le autorità locali messe insieme.

La maggior parte degli occupanti vengono dall’Europa dell’Est, ma non solo e spesso non si tratta di gente abituata a dormire sotto le stelle. Il mondo degli homeless è molto più diversificato di quanto poteva essere alla fine degli anni Novanta, quanto Tony Blair riuscì a ridurre significativamente il problema. Matt Donnie, direttore esecutivo dell’associazione Crisis, fotografa una realtà in cui il 55 per cento di chi dorme per strada non è del Regno Unito, a differenza di trent’anni fa, quando la maggioranza dei senzatetto era inglese o irlandese. «Molti di loro» ha spiegato «sono migranti, schiavi moderni ostaggio dei loro stessi compatrioti, ma anche immigrati che hanno il diritto di rimanere nel Paese ma non sanno dove andare a vivere». La figura del «barbone» di una volta è praticamente in estinzione rispetto al crescente fenomeno di un’umanità vagante, accentuatosi negli anni della pandemia.

Ne fanno parte, seppur in numero minore, persino gli studenti internazionali, venuti a studiare nelle università britanniche prima e dopo il Covid. Nel periodo del lockdown, quando il governo conservatore di Boris Johnson fu costretto a blindare il Paese per uscire da una situazione ormai insostenibile, gli atenei chiusero i battenti e, mentre gli studenti britannici poterono tornare a casa, molti europei, tra cui gli italiani, rimasero senza un tetto sulla testa. Non riuscivano a tornare in Italia, ma non potevano neppure permettersi gli affitti costosissimi di una stanza londinese. E chi non aveva genitori in grado di supportarli finanziariamente finì a vivere sotto una tenda a Trafalgar Square. Una situazione, quella studentesca, che non è migliorata. Gli affitti nella capitale, ma anche in molte cittadine universitarie ormai incapaci di accogliere il numero sempre crescente di studenti internazionali - dopo la Brexit molti atenei alla disperata ricerca di fondi hanno incrementato il numero delle ammissioni - sono saliti alle stelle. A questo, molto spesso si aggiunge la ritrosia dei proprietari di case ad affittare a studenti. E anche quando intendono farlo, magari sono gli stessi regolamenti condominiali a imporre il divieto di accettare i giovani. I quali, come conseguenza, spesso si ritrovano a condividere con i compagni di corso veri e propri tuguri, concessi a prezzi esorbitanti in quartieri come minimo periferici.

La crisi abitativa britannica attuale ha infinite sfumature perché il significato di «senzatetto» si è fatto via via più ampio, dando vita a un vero «scandalo nazionale», come l’ha definito la vice premier laburista Angela Rayner. Sono anni che le associazioni che si occupano del problema come Shelters, o Crisis - tanto per nominarne un paio, ma ce ne sono innumerevoli nel Paese - sostengono che la situazione è ormai fuori controllo. Ancora il ministero per la Casa, le Comunità e le Autorità locali dice che in Inghilterra 117.450 famiglie vivono a spese dei Comuni in case «temporanee» come bed&breakfast e abitazioni private, e con loro più di 150 mila minori.